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Le BiELLE Interviste
Giulio Casale, un "pollo dell'allevamento Gaber"

Foto di Patrizia Laquidara al Tenco




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Parliamo con Giulio Casale, autore di una splendida riedizione dello spettacolo "Polli di Allevamento" di Gaber e Luporini, nonché di una più che esauriente biografia dell'artista milanese, alla vigilia della serata-tributo in memoria di Giorgio Gaber organizzata alla Bocconi per il 7 maggio. Che tipo di tributo sarà? Un concerto? Una conferenza? Un ricordo parlato o cantato?

In realtà dovrebbe essere più un ricordo parlato. Ci sarà Paolo Del Bon della Fondazione Gaber, una tua collega giornalista e poi io. Poi in realtà mi hanno chiesto di portare anche la chitarra. Quindi penso che ci sarà spazio sia per qualche canzone di Gaber che per qualcuna delle mie.

Il tuo ricordo di Giorgio Gaber? Ho avuto modo di leggere il tuo libro e di sentire tue dichiarazioni in merito, ma se dovessi enucleare un ricordo di Gaber? Un solo aspetto?

Una straordinaria forza fisica che era peraltro specchio della sua straordinaria ostinazione nel voler capire perché siamo messi così male. Non arrendersi a questo, ma anzi arrivare alla necessità di una reazione alla condizione dell’individuo di fine novecento.

Tu hai messo in scena il suo Polli di allevamento. Ne ho sentito dire un gran bene e purtroppo non ce l’ho ancora fatta a vederlo. Spettacolo che ripropone in modo filologico il Gaber del periodo. O sbaglio?

Sì, sì, sì. L’idea era proprio quella. E chi ha creduto in me ha creduto proprio nella possibilità di avere non solo la stessa macchina scenica, lo stesso impianto scenotecnica, ma anche un po’ di quella carica che dicevo prima. La scommessa più bella che abbiamo vinto è stata proprio quella di essere riusciti a creare un forte impatto in chi lo viene a vedere e non solo per l’operazione nostalgia.

E’ un’operazione destinata a rimanere teatro oppure è previsto disco, dvd o quant’altro?

C’è un interessamento della televisione. Adesso vedremo. Abbiamo già fatto delle riprese professionali. Adesso vedremo che uso farne.

Per quanto riguarda invece proprio la tua attività cantautorale in senso stretto, sei fermo al 2005 con In fondo al blu, un album ancora recente quindi. Che rappresentava già una conferma della tua svolta decisa verso la canzone d’autore. Ci sono già progetti nuovi? Stai già facendo qualcosa?

Sì, sto scrivendo nuove canzoni. Ma è più una canzone di tempi. Nel senso che Polli d’allevamento è andato così bene che c’è in corso una seconda grande stagione, quindi, fino alla primavera prossima siamo impegnati con questo spettacolo. Per cui iniziamo già a ragionare per il 2008/2009.

Tempi lunghi.

Tempi lunghi. Sicuramente ho voglia di tornare in pista sia con uno spettacolo, sia con un disco firmati da me. Comunque la dimensione teatrale ormai credo che sia definitiva. Però anche con le mie canzoni. Speriamo che con la stagione, non questa, ma quella successiva riesca a far coincidere queste due cose.

Mentre invece il capitolo Estra è definitivamente chiuso?

In realtà no.

Però non c’è tempo.

Appunto (ridiamo). Sto seguendo troppi spettacoli, troppe iniziative, per cui è difficile veramente. Però abbiamo tante richieste di concerti che dovremo anche trovare il momento per un tour. E’ anche un qualcosa che dobbiamo a chi ci ha seguito con passione. Anche se si trattasse di uno scioglimento glielo dobbiamo; almeno un giro finale sarebbe bello e giusto farlo.

Ma per adesso quindi non sono sciolti gli Estra?

No, no. Sono fermi, “in sonno”. In letargo.

Parlando con Paolo Dal Bon, qualche tempo fa sulle presunte e possibili eredità di Gaber, lui ha detto che ce n’è soprattutto uno di erede di Giorgio e che quello sei tu. E’ un paragone che ti esalta o che ti atterrisce. Impegnativo …

Naturalmente il paragone con Gaber per me non è mai un insulto, però è la parola erede che, insomma, è un po’ greve. Mi fa subito pensare a parenti che litigano per accaparrarsi i beni del defunto (ridiamo). Io credo semplicemente di stare facendo il mio percorso che in questo momento omaggia uno dei miei maestri.

E comunque il tuo percorso va nel solco del teatro-canzone.

Esatto. E ha questa grande forza d’attrazione, perché mi rendo conto che è un medium che mi si confà molto, questo essere a cavallo tra la prosa e il concerto. Però Gaber non è il mio unico punto di riferimento: ho tanti altri maestri. Oltre ad avere un mio modo di scrivere: le mie canzoni non sono necessariamente derivanti da quelle di Gaber.

Sotto il profilo canzoni quali sarebbero gli altri “padri ispiratori”? Il mondo del cantautorato classico?

Sì, anche. Italiano ma non solo.

Anzi, forse soprattutto non solo italiano.

Devo dirti che in Italia io ho amato alla follia, fin da bambino, Tenco, De André, ma anche Endrigo, per dire nomi tra quelli meno mainstream per così dire. Dall’estero da Nick Drake, a Nick Cave, passando per Tom Waits e i Velvet Underground. Ci sono tantissime fonti che mi agitano e si agitano in me, anche a livello musicale.

Ti ringrazio. A presto.

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Intervista telefonica del 06-05-2007
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