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Le BiELLE Interviste
Eugenio Bennato: "La mia Africa"

Foto di Patrizia Laquidara al Tenco

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 





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Erano anni che Eugenio Bennato non faceva un disco così convincente. Caldo di un giusto calore mediterraneo, ispirato, cantato benissimo, anche da lui che non si è mai considerato un cantante. Soprattutto un disco che ha cose da dire e le dice con chiarezza. Scegliendo posizioni, parlando in linguaggio piano, ma delicatamente poetico di tutto un mondo che abbraccia il sud dell'Italia e il Mediterraneo fino all'Africa.

Ho ascoltato il tuo Sponda sud, un disco pieno di sole e di calore., Da dove nasce? Tra l’altro tu era molto che non facevi un disco a nome tuo, no?

Beh, sì. Ho fatto l’ultimo nel 2002. Penso che i dischi vadano ben meditati oggi, perché c’è tanta produzione di cose che spariscono subito. "Sponda sud" è un po’ il diario dei miei ultimi viaggi, molto intensi, in tante parti del mondo. Un cammino che è iniziato con Taranta power che è stato un po’ prendere coscienza un po’ di tutto, ma soprattutto per i giovani del sud, della loro identità culturale, recuperando i ritmi del ballo . Un affacciarsi al Mediterraneo dalle campagne del nostro sud, spontaneo, essenziale per me per riconoscere sonorità, ma soprattutto un modo di essere musicisti che accomuna la gente di queste due parti del mare. Li accomuna nel modo di porsi di fronte la fatto musicale, nel senso di fare musica che spesso è parte di un rito e nel caso della taranta è un rito di guarigione. Questa musica che è terapia è viva in tutti i paesi del Maghreb alcuni ritmi, ferma salva la differenza che è fondamentale, hanno in comune la stessa matrice che è ipnotica.

Anche se in questo disco non hai utilizzato strumenti della tradizione maghrebina o araba. Hai reso il tutto con strumenti della nostra normale tradizione occidentale.

Guarda, questi legami secondo me sono soprattutto legate alla sonorità di alcune lingue e di alcune sonorità vocali. Per gli strumenti direi che è talmente ricco il nostro sud o il mio bagaglio musicale che non ho bisogno di mutuare darbuke o altro dall’area mediterranea che tra l’altro sono abbastanza sfruttate. Io invece sono sempre stato attratto dalle storie e dalle voci. "Sponda sud" parte proprio da un mio viaggio in Etiopia dove fui accolto da alcuni bambini che avevano preparato alcune mie canzoni di cui volevano farmi omaggio con le loro voci bianche. Io in quel caso con molta prontezza scrissi "Sponda Sud", la canzone, proprio mentre loro mi facevano ascoltare i loro lavori e gliela feci cantare proprio lì ad Adiss Abbeba e tornai in Itlaia con la prima traccia di questi cori straordinari di bambini.

E sono ancora loro nel disco?

Certo, la parte vocale è rimasta la stessa. Fatta altre voci, fatta nella scuola, il giorno dopo il concerto. Se vuoi il segnale, musicalmente, ma anche concettualmente è quello: questa fantastica sponda misteriosa che forse non si scoprirà mai. Ma che si possa andare sempre oltre in questo aspetto magico, in contrapposizione con l’aspetto razionale della nostra civiltà. Questo è un po’ il senso di "Sponda sud", anche se poi su dieci brani ognuno prende una sua strada e si porta dietro una sua storia.

C’è anche un clima generale nel disco. Oltre questa solarità, una calma , una tranquillità, trasmette buone impressioni.

Sarò forse un fatto di esperienza.. Dai miei contatti con il mondo popolare ho preso alcuni elementi che sono forse non eclatanti, ma intimi, sottili come una sorta di swing che spesso viene malintesa da quelli che fanno il revival. Parlo per esempio della taranta che spesso viene esagerata nel senso di gran casino, mentre lì la vibrazione quella che ti porta alla circolarità della danza è qualcosa che non ha a che fare col pestare in maniera violenta. Infatti questo disco è fatto con pochissimi strumenti, anche se in due brani ho “ceduto” alla grande orchestra del Cairo, non ricordo dove. Io sono stato recentemente al Teatro del’Opera del Cairo dove ho suonato con l’orchestra locale che ho inserito in un paio di brani, "Sponda Sud" e non mi ricordo bene dove. E l’orchestra con la sua imponenza e la sua classicità si contrappone al resto della strumentazione che è fatta con due chitarre, battenti, e le percussioni. E niente altro. E poi c’è la mia voce che in qualche modo può essere il filo conduttore. Io poi non mi sono mai ritenuto un cantante, anche se l’influenza della mia amicizia con De André o con altri cantanti brasiliani mi ha portato a pensare l’influenza che il canto può avere sul tutto . Un impatto vocale tranquillo, al di fuori delle intemperanze dei cantanti di petto e di voce.

Certo però si nota proprio una maturità artistica, una trasformazione anche vocale che colpisce. Sei diventato più caldo e pastoso nel proporre le tue storie.

E’ un disco in cui non ho avuto fretta. Veramente io non invidio i miei colleghi che sono pressati dalle case discografiche per fare un disco. Io sono pressato dal pubblico che me lo sta chiedendo da tempo. Ed è un pubblico che è diventato in questi ultimo tempi molto vasto . e devo dire che sto vivendo questa stazione che non vivevo nemmeno quando ero nella Nuova Compagnia di Canto Popolare o in Musicanova. Proprio un accorrere di giovani, di masse di ragazzi, come adesso al Leoncavallo all’ultimo concerto che ho fatto a Milano che era strapieno ma di gente giusta, di quella che sceglie che musica vuole sentire.

Ho avuto una copia masterizzata del disco e non ho quindi le indicazioni di copertina. Chi è che canta con te nel’alum? Sento spesso una voce femminile …

Africana?

Si chiama Zaina, Zena, che è venuta qui in Italia emigrata come tante altre. Tutte le voci del disco sono mie scoperte. Più che ai professionisti penso sia bello rivolgersi a questa immensa ricchezza dell’emigrazione che arriva dalle nostre parti. Lei viene dal Mozambico ed è una ballerina. Io ho scoperto che aveva anche queste doti vocali che si riferiscono proprio alle sue leggende, al suono delle leggende della sua infanzia che suona un po’ come l’Africa. L’altra voce araba è Mohammed che viene dal Marocco e per esempio Mohammed faceva tutt’altro lavoro ed era nei campi vicino a Mondragone a raccoglier frutta e poi tu vai a scoprire che appartiene a una famiglia colta, una famiglia di grandi tradizioni culturali. Insomma qui tu vai a scoprire che tra gli immigrati abbiamo delle ricchezze immense. Basta guardarsi intorno.

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Intervista telefonica del 30-04-2007
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