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BiELLE INTERVISTE
Enrico de Angelis: A proposito di Luigi Tenco
di Giorgio Maimone

Qui a Bielle preferiamo ricordare una nascita piuttosto che una morte. Non possiamo però ignorare che il 27 gennaio 2007 è il quarantesimo anniversario del suicidio di Luigi Tenco. Quella morte, che scatenò l'attenzione scandalistica dei media ma suscitò apparentemente poche riflessioni nell'immediato, segna ormai uno spartiacque nella storia non solo della canzone, ma anche dell'industria musicale italiana. Non subito dopo il 27 gennaio 1967, ma nel giro di qualche anno, molte cose cambiarono nella discografia, nell'editoria, nella radio e nella televisione, nel giornalismo musicale..

Enrico De Angelis del Club Tenco. Chi meglio collocato di te per dare un giudizio su Luigi Tenco? Credi che sia ancora attuale? O meglio, qual è l’attualità di Tenco?
Assolutamente sì, non tanto perché si parla molto di lui per le vicende legate alla sua morte che sicuramente hanno in parte alimentato una leggenda attorno a lui, giusto o no che sia. Certamente se i giornali ne parlano è soprattutto per questi motivi e non altri. Infatti se ne parla sempre in prossimità del festival. Però, al di là di questo, quello che io vedo è che c’è una notevole attenzione anche da parte delle giovani generazioni. Naturalmente parliamo sempre di cerchie circoscritte, di nicchie di attenzione, di personaggi che non vanno in hit parade. Però nell’ambito della canzone d’autore l’attenzione c’è. Questo vuole dire che il segno lo ha lasciato proprio sul piano artistico. L'attualità di Tenco è anche dimostrata dal fatto che ci sono molti giovani che riprendono le sue canzoni, oppure che dichiarano di conoscerle ed amarle e di esserne in qualche modo, non dico influenzati, ma insomma, di tenere conto della sua lezione. Inoltre incontro spesso "semplici" ascoltatori, utenti della musica che mi dicono di aver imparato ad amare Tenco perché i genitori non facevano che mettere i suoi dischi sul giradischi e a un certo punto anche a loro è sorta curiosità di capire chi fosse. Ci sono cantautori di quella generazione che sono stati così tanto amati dai genitori da essere passati ai figli quasi come una forma di eredità. Si può fare un nome tra tutti tra gli artisti: Morgan. Ma come lui anche tanti altri. Morgan con tutta la storia che ha alle spalle, a un certo punto scopre che ci sono dietro di lui i Tenco, i Paoli, i Bindi, i Gaber, se ne innamora e comincia quasi un’altra vita artistica.

Un’attualità tematica proprio dell’opera esiste ancora?
Io penso che la lezione sua sia prima ancora che nei contenuti nella sincerità, nella franchezza con cui questo signore mette in canzone delle cose che sicuramente vive sulla sua pelle, in prima persona, andando a cercare nelle pieghe più riposte dei sentimenti degli aspetti, delle sfumature che magari noi non ci diremmo, non ne avremmo il coraggio. E lui invece ce le dice, in una forma oltretutto magnifica. È ovvio che qua il pensiero va a frasi come “mi sono innamorato di te perché non avevo niente da fare” oppure “Angela Angela mi piace vederti soffrire”. Frasi anticonvenzionali che anche noi viviamo ma che raramente abbiamo il coraggio di ammettere perfino a noi stessi. La lezione è questa: capire che in una canzone si può dire tutto, si può parlare di qualsiasi argomento (Tenco è stato uno dei primi che ha cominciato a parlare non solo d’amore) e se ne può parlare in qualunque modo, anche con sensazioni molto segrete e quasi inconfessabili.

Su te quale è stato l’impatto iniziale di Tenco? Ti sei innamorato da subito?

Ah sì, sì, da subito. Io mi sono innamorato al primo ascolto. Sai, la mia adolescenza è coincisa con l’adolescenza della canzone d’autore: io a dodici anni sento alla radio, in uno dei programmi fatti dalle case discografiche, dove venivano trasmessi i dischi da lanciare, Quando, Una vita inutile, canzoni adesso magari un po’ dimenticate e mi innamoro immediatamente. Entro subito in sintonia con lui, come negli stessi giorni mi innamoro di Endrigo: La brava gente, La periferia, Aria di neve. Ancora prima di Io che amo solo te. O del primo Paoli: quello di Io vivo nella luna, La gatta.
Canzoni che peraltro per quell’epoca avevano un carattere dirompente. Era la prima che si sentivano argomenti simili.
Io rimango sbalordito a sentire che c’è gente che canta quelle cose con quelle parole e in quel modo! Perché anche il canto ha la sua importanza. Era assolutamente diverso: sgraziato in Paoli, armonioso in Tenco con la sua voce profonda e affascinante.

Pare che Tenco fosse quello più addentro alle cose della musica. Il più musicista tra i cantautori della prima ondata.

Sì,. A parte Bindi, direi di sì. Questi cantautori arrivano con un bagaglio già molto ricco di conoscenze musicali e Tenco in particolare. Tenco conosce il rock and roll, conosce il jazz, la canzone americana classica, il musical americano, i francesi. E tutto questo entra anche nella sua musica. E in particolare il fatto di venire dal jazz e di praticarlo un pochino, suonando il sax, si riverbera nel suo modo di cantare.

Tu hai parlato di canzoni un po’ dimenticate o ancora sconosciute. Secondo te per un ascolto basilare di Tenco cosa non si può mancare?

Allora, Quando per motivi storici. È la sua prima vera canzone, quella di un certo spessore che consegna Tenco alla storia della canzone. Poi Vedrai vedrai, Mi sono innamorato di te, Lontano lontano: perché sono canzoni perfette dal punto di vista della sintesi tra testo e musica. Io ne aggiungerei delle altre come ad esempio Io si, spregiudicata e forte, merita un suo posto nella storia. E poi non trascurerei Ragazzo mio
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Intervista rilasciata il 23 gennaio 2007

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