Qui
a Bielle preferiamo ricordare una nascita piuttosto
che una morte. Non possiamo però ignorare che
il 27 gennaio 2007 è il quarantesimo anniversario
del suicidio di Luigi Tenco. Quella morte, che scatenò
l'attenzione scandalistica dei media ma suscitò
apparentemente poche riflessioni nell'immediato, segna
ormai uno spartiacque nella storia non solo della
canzone, ma anche dell'industria musicale italiana.
Non subito dopo il 27 gennaio 1967, ma nel giro di
qualche anno, molte cose cambiarono nella discografia,
nell'editoria, nella radio e nella televisione, nel
giornalismo musicale..
Enrico De Angelis del Club Tenco. Chi meglio collocato
di te per dare un giudizio su Luigi Tenco? Credi che
sia ancora attuale? O meglio, qual è l’attualità
di Tenco?
Assolutamente sì, non tanto perché
si parla molto di lui per le vicende legate alla sua
morte che sicuramente hanno in parte alimentato una
leggenda attorno a lui, giusto o no che sia. Certamente
se i giornali ne parlano è soprattutto per
questi motivi e non altri. Infatti se ne parla sempre
in prossimità del festival. Però, al
di là di questo, quello che io vedo è
che c’è una notevole attenzione anche
da parte delle giovani generazioni. Naturalmente parliamo
sempre di cerchie circoscritte, di nicchie di attenzione,
di personaggi che non vanno in hit parade. Però
nell’ambito della canzone d’autore l’attenzione
c’è. Questo vuole dire che il segno lo
ha lasciato proprio sul piano artistico. L'attualità
di Tenco è anche dimostrata dal fatto che ci
sono molti giovani che riprendono le sue canzoni,
oppure che dichiarano di conoscerle ed amarle e di
esserne in qualche modo, non dico influenzati, ma
insomma, di tenere conto della sua lezione. Inoltre
incontro spesso "semplici" ascoltatori,
utenti della musica che mi dicono di aver imparato
ad amare Tenco perché i genitori non facevano
che mettere i suoi dischi sul giradischi e a un certo
punto anche a loro è sorta curiosità
di capire chi fosse. Ci sono cantautori di quella
generazione che sono stati così tanto amati
dai genitori da essere passati ai figli quasi come
una forma di eredità. Si può fare un
nome tra tutti tra gli artisti: Morgan.
Ma come lui anche tanti altri. Morgan con tutta la
storia che ha alle spalle, a un certo punto scopre
che ci sono dietro di lui i Tenco,
i Paoli, i Bindi,
i Gaber, se ne innamora e comincia
quasi un’altra vita artistica.
Un’attualità tematica proprio
dell’opera esiste ancora?
Io penso che la lezione sua sia prima ancora che nei
contenuti nella sincerità, nella franchezza
con cui questo signore mette in canzone delle cose
che sicuramente vive sulla sua pelle, in prima persona,
andando a cercare nelle pieghe più riposte
dei sentimenti degli aspetti, delle sfumature che
magari noi non ci diremmo, non ne avremmo il coraggio.
E lui invece ce le dice, in una forma oltretutto magnifica.
È ovvio che qua il pensiero va a frasi come
“mi sono innamorato di te perché
non avevo niente da fare” oppure “Angela
Angela mi piace vederti soffrire”. Frasi
anticonvenzionali che anche noi viviamo ma che raramente
abbiamo il coraggio di ammettere perfino a noi stessi.
La lezione è questa: capire che in una canzone
si può dire tutto, si può parlare di
qualsiasi argomento (Tenco è stato uno dei
primi che ha cominciato a parlare non solo d’amore)
e se ne può parlare in qualunque modo, anche
con sensazioni molto segrete e quasi inconfessabili.
Su te quale è stato l’impatto
iniziale di Tenco? Ti sei innamorato da subito?
Ah sì, sì, da subito. Io mi sono innamorato
al primo ascolto. Sai, la mia adolescenza è
coincisa con l’adolescenza della canzone d’autore:
io a dodici anni sento alla radio, in uno dei programmi
fatti dalle case discografiche, dove venivano trasmessi
i dischi da lanciare, Quando,
Una vita inutile, canzoni
adesso magari un po’ dimenticate e mi innamoro
immediatamente. Entro subito in sintonia con lui,
come negli stessi giorni mi innamoro di Endrigo:
La brava gente, La periferia, Aria di
neve. Ancora prima di Io
che amo solo te. O del primo Paoli:
quello di Io vivo nella luna, La gatta.
Canzoni che peraltro per quell’epoca avevano
un carattere dirompente. Era la prima che si sentivano
argomenti simili.
Io rimango sbalordito a sentire che c’è
gente che canta quelle cose con quelle parole e in
quel modo! Perché anche il canto ha la sua
importanza. Era assolutamente diverso: sgraziato in
Paoli, armonioso in Tenco con la sua voce profonda
e affascinante.
Pare che Tenco fosse quello più addentro alle
cose della musica. Il più musicista tra i cantautori
della prima ondata.
Sì,. A parte Bindi, direi di sì. Questi
cantautori arrivano con un bagaglio già molto
ricco di conoscenze musicali e Tenco in particolare.
Tenco conosce il rock and roll, conosce il jazz, la
canzone americana classica, il musical americano,
i francesi. E tutto questo entra anche nella sua musica.
E in particolare il fatto di venire dal jazz e di
praticarlo un pochino, suonando il sax, si riverbera
nel suo modo di cantare.
Tu hai parlato di canzoni un po’ dimenticate
o ancora sconosciute. Secondo te per un ascolto basilare
di Tenco cosa non si può mancare?
Allora, Quando per motivi
storici. È la sua prima vera canzone, quella
di un certo spessore che consegna Tenco alla storia
della canzone. Poi Vedrai vedrai, Mi sono
innamorato di te, Lontano lontano: perché
sono canzoni perfette dal punto di vista della sintesi
tra testo e musica. Io ne aggiungerei delle altre
come ad esempio Io si, spregiudicata
e forte, merita un suo posto nella storia. E poi non
trascurerei Ragazzo mio.
Intervista
rilasciata il 23 gennaio 2007
|