E'
ancora Concerto grosso 36 anni dopo
di
Marco Cavalieri
Notavo
proprio di recente come le tappe più importanti della
carriera dei New Trolls siano state segnate negli anni da
quel prodigio di creatività, passione e bravura che
va sotto il nome di “Concerto Grosso”. Nel
1971, il primo “Concerto” dona alla band genovese
un successo internazionale, pubblici attestati di stima da
parte dei più grandi rockers mondiali e – nel
tempo – un milione di copie vendute.
Nel 1976 il secondo episodio (forse un gradino sotto il precedente)
sancisce la prima, storica reunion tra le due anime del gruppo,
Vittorio De Scalzi e Nico Di Palo. Nel 2007, ormai nell’era
dei dvd e degli mp3, (ed alzi la mano chi se lo aspettava…)
il terzo, maestoso Concerto, ci rapisce, ci regala un giro
sulla macchina del tempo, ci presta l’illusione che
la Musica (quella vera, quella con la “M” alta)
sia ancora in mezzo a noi, impalpabile ma viva. Ed attualissima.
Perché
“Concerto Grosso n.3 – The Seven Seasons”
(uscito lo scorso 29 giugno) non è semplicemente un
flashback, non è un “come eravamo” nè
tantomeno un’operazione commerciale. E’ invece
un gran bel disco, che riprende un filo interrotto –
dal punto di vista musicale e da quello, ben più delicato,
dei rapporti personali – 31 anni fa. E stabilisce, una
volta per tutte che, come già “Lennon-McCartney”,
“Jagger-Richards” e “Mogol-Battisti”,
anche Vittorio De Scalzi e Nico Di Palo sono nati per fare
Musica insieme. Ed il merito più grande (e non scritto)
di questo lavoro è che, adesso, ne sono convinti anche
Vittorio e Nico.
Quando ho avuto
l’ok per l’intervista, non nascondo di aver provato
una grande emozione. Perché immaginavo già le
domande che avrei fatto a Vittorio. Ma soprattutto perché
pregustavo le sue risposte, piccoli romanzi aventi a tema
buona parte della storia della Musica italiana.
Ma quando comincia
la telefonica, la voce serena e saggia del mio interlocutore
mette subito l’intervista sui binari sereni della chiacchierata,
quelli che prediligo.
Ti
abbiamo colto al computer, Vittorio…
“Si,
più che altro stavo facendo a botte col pc! Io sostengo
che i computer bisogna usarli e non farsi usare. Anche se
debbo dire che per questo lavoro ci è stato molto utile,
come agenda. Per suonare, invece, il computer va messo da
parte e bisogna darsi da fare con gli strumenti veri!”.
Beh,
questo è vero per voi, che siete grandi strumentisti,
ma purtroppo molti continuano ad abusarne… Ecco, a proposito
di suonare, voi venite dal Giappone, dove avete un sacco di
fans, ma ripartirete a breve per il Messico, per la presentazione
del disco…
“Anche
in Corea andremo! Lì siamo già stati una volta,
per fare un’anteprima di questo ‘Concerto Grosso’.
Avevamo a disposizione un’intera orchestra: abbiamo
deciso di dar loro tutte le partiture e l’abbiamo suonato
dal vivo lì per la prima volta, con enorme sorpresa
da parte del pubblico!”.
Ma
loro lo sapevano che si trattava di un’anteprima?
“Beh,
glielo abbiamo detto proprio all’ultimo momento ed erano
davvero entusiasti di questa cosa. Torniamo lì con
gran piacere”.
Allora,
Vittorio, ricapitoliamo... “Concerto Grosso” è
una parte fondamentale della carriera dei New Trolls. C’è
stato un primo episodio nel 1971, un bis nel 1976 ed ora –
trentuno anni dopo – questo terzo capitolo, dal sottotitolo
“The Seven Seasons”. Un gran disco e un gruppo
in splendida forma. Mi fa piacere, sai, che vi siate ritrovati
tu e Nico…
“Eh
si, erano dieci anni che non suonavamo più insieme.
Poi, dopo il suo grave incidente (automobilistico, n.d.r.)
ha avuto diversi problemi. Ma ora è fantastico essere
tornati insieme, soprattutto a scrivere i brani. E ti devo
dire che dal vivo è come se nulla si fosse fermato,
ci sono ancora i vecchi meccanismi, ci basta uno sguardo”.
Tra
l’altro avete dichiarato recentemente “Basta con
le incomprensioni, vogliamo tornare a far musica”. Quindi,
una gran voglia di suonare, di stare sul palco, di fronte
al vostro pubblico…
“Si,
si, decisamente. Vogliamo tornare a fare il vecchio Rock-Prog
e l’incontro con la musica classica ce ne dà
ampia opportunità”.
Allora,
andiamo per ordine. Nel 1971, in un’epoca in cui in
Italia la musica era Sanremo e la radio nazionale l’unico
strumento di divulgazione, dall’estero cominciavano
filtrare i primi esempi di musica “altra”. C’era
un gran fermento: c’erano i Nice, i Genesis, gli E.L.P.,
i Deep Purple, che tra l’altro fecero una cosa simile
alla vostra, ma con un altro spirito. Tre anni prima, a Genova,
si era formato un gruppo di ragazzi giovanissimi, ma già
apprezzati strumentisti: per questo, riceveranno negli anni
attestati di stima da tutto il mondo (dei quali poi parleremo).
Nel 1971, dunque, l’idea è quella di fare un
“Concerto Grosso”, una forma musicale del medio
barocco italiano…
“Esatto,
l’idea fondamentale di un piccolo gruppo di solisti
che si alternano all’organico principale, che è
l’orchestra, con un botta e risposta”.
Un
contrappunto, tra gruppo ed orchestra quindi…
“Proprio
così. L’idea nostra è stata quella di
sostituirci al piccolo gruppo di solisti con gli strumenti
elettrici e le nostre voci. L’idea fondamentale fu di
Sergio Bardotti, al quale è dedicato l’album”
…
e che purtroppo è scomparso recentemente
“Un
grande rammarico per noi che non possa sentire questo lavoro”.
So
che all’inizio vennero contattati i Rokes per quest’opera…
“E
adesso, a distanza di anni, ci sono in parte dentro, con Shel
Shapiro! Shel che tra l’altro ha scritto tutti i testi
e fa da voce narrante, col suo timbro particolare e profondo,
al quale si contrappone – mi fa piacere ricordare anche
questo – lo splendido soprano Madelyn Monti”.
E
fu proprio Sergio Bardotti a preferirvi ai Rokes, dandovi
questa grandissima opportunità. Alla vostra etichetta
dell’epoca, la Fonit Cetra, l’idea piacque subito.
A questo proposito volevo chiederti… Mettiamo il caso
che il progressive non fosse mai nato (e, con esso, neanche
i due precedenti episodi di “Concerto Grosso”).
Oggi, Vittorio, con la situazione attuale della musica, sarebbe
possibile andare a bussare ad una delle attuali case discografiche
(magari una di queste Major mondiali quotate al Dow Jones)
e portare un’idea del genere? Cosa pensi ti risponderebbe,
oggi, la suddetta Major, se presentassi per la prima volta
un progetto del genere?
“Il
classico due di picche (ride). Sicuro! Io credo che il farsi
trasportare dalle mode ed il non osare più nulla siano
i due più gravi limiti della discografia moderna. Ti
faccio un esempio: oggi prendono un ragazzino, sentono che
canta come Eros Ramazzotti e gli fanno subito fare un disco
‘alla Eros Ramazzotti’. Poi arriva quello che
canta come Vasco e via così. E’ gravissimo, è
la fine della creatività”.
E
invece voi, con l’idea di Sergio, avete venduto nel
tempo un milione di copie! Un successo enorme, stiamo parlando
degli Anni ’70… Infatti io ti avevo fatto questa
domanda anche per un altro motivo, per sottolineare il vostro
coraggio e la grande scelta di allora. Tra l’altro,
siete stati tra i primissimi in Italia a fare un “concept”
(se vogliamo anticipato da “Senza orario senza bandiera”
del 1968), oltretutto stravolgendo la strategia in vigore
allora, che era quella di fare i singoli e poi raccoglierli
in un Lp. E voi, come avevano osato già qualche anno
prima i Beatles, avete fatto la stessa cosa: un disco inteso
come un racconto, un tema che si svolge dall’inizio
alla fine, riemergendo in superficie qua e là (come
la citazione del tema di un singolo già uscito, di
cui parleremo più avanti). Peraltro l’opera,
che nasceva come colonna sonora del film “La vittima
designata”, contiene anche un omaggio a Jimi Hendrix,
vostro punto di riferimento che era scomparso da poco…
“Si,
era ‘Shadows’, che tra l’altro suoniamo
ancora ed è sempre uno dei momenti più emozionanti
dei nostri concerti. Hendrix ha influenzato profondamente
noi e la nostra musica… e non solo la nostra. In quel
periodo, come dicevi, era scomparso da poco e ci sembrava
giusto ricordarlo così”.
So
che all’epoca avete avuto i complimenti di Ian Anderson…
“E’
vero, è vero… ti devo dire che abbiamo interagito
con parecchi personaggi di allora. Poi, sai, millantare conoscenze
è sempre antipatico; però adesso che son passati
40 anni, posso dirti che abbiamo avuto parecchie soddisfazioni!
Abbiamo aperto un concerto dei Led Zeppelin a Milano…
prima della loro esibizione si son seduti sui nostri amplificatori
ad ascoltarci. Abbiamo suonato con Stevie Wonder, abbiam fatto
da spalla ai Rolling Stones… Diciamo che è stato
un inizio di carriera davvero particolare!”
Fenomenale
direi. Ma ricordi cosa vi disse Ian Anderson? Venne colpito
dal flauto, dall’idea del concerto (così vicino
alla musica dei Jethro) o da cosa?
“Beh,
sai, allora a me piaceva da morire il suo modo di suonare,
anche se all’epoca già ne seguivo altri che usavano
la tecnica voce-flauto. Ma Ian aveva avuto l’idea di
unire anche il barocco a questa tecnica… come vedi,
dopo 40 anni faccio ancora questa musica (ride). E credo che
lui fosse anche un po’ fiero di aver trovato –
se vogliamo - dei seguaci, qualcuno che portasse avanti la
sua idea di musica”.
Parlavamo
prima di innovazioni beatlesiane… Come dicevo, nell’Improvvisazione
del vostro primo “Concerto Grosso” c’è
una reprise de “Il sole nascerà” (lato
B di “Una Miniera”, n.d.r.), un pezzo uscito pochi
mesi prima su 45 giri. Quindi vi citate, un po’ come
fecero i Beatles in “Glass Onion”, quando nominavano
alcuni titoli di canzoni pubblicate in precedenza, come “Strawberry
Fields forever” o “I’m the Walrus”…
come vi è venuta questa idea?
“Mah,
allora avevamo idee su idee. Sai, quando fai lunghi viaggi
in gruppo, ti vengono mille folgorazioni. Quando sei in tour
sei pieno di creatività”.
Idee
dicevamo, come quelle di registrare le vostre voce a piani
diversi di una tromba delle scale, in modo da avere una ribattuta
sfalsata di qualche decimo sulla voce…
“(ride)
Beh, sai, allora la tecnologia non era certo quella di oggi.
Già far saturare un amplificatore era un’impresa…
Così per fare un’eco ribattuta, c’era Nico
sulle scale che ripeteva le parole che dicevo io in studio
col microfono! Era tutto uno sperimentare e dove non arrivava
la tecnologia, si sopperiva con l’inventiva!”.
E
l’ “Improvvisazione nella sala vuota”? Probabilmente
erano pochi i tre movimenti canonici?
“Si,
tre movimenti erano decisamente pochini per fare un album.
Noi in quel periodo eravamo sempre in tour, facevamo una media
di cento concerti l’anno. E ovviamente quando fai così
tanti concerti, rielabori tutto; ogni brano viene rivisto,
rivisitato, perché alla fine ti stufi di suonare sempre
esattamente la stessa cosa. L’idea è stata quella
di montare tutta la nostra strumentazione nella sala vuota,
senza pubblico, ma di suonare come se ci fosse”.
Torniamo al vostro nuovo Concerto. Il sottotitolo
è “The Seven Seasons” e so che si intendono
con questo le stagioni della vita…
“Si,
c’è un riferimento chiaro a Vivaldi, anche se
qui non si parla delle stagioni metereologiche, ma quelle
dei sentimenti, dell’anima, che sono molto più
di quattro. Ecco, noi ne abbiamo individuate sette.”.
Tra
l’altro, ogni titolo è accompagnato da una definizione
classica: “overture”, “ballata”, “ostinato”…
“Una
definizione classica che stabilisce il tempo ritmico del brano”.
Un
lavoro che si avvale del lavoro della “White Light Orchestra”
di Stefano Cabrera…
“Si.
Intanto diciamo che Stefano è molto giovane ed è
un violoncellista eccezionale. Lui usa anche il violoncello
per il Jazz, col distorsore, con mille altri effetti spettacolari…
è uno molto vicino al nostro mondo. Ed è curioso
constatare come si siano invertite, in un certo modo, le parti:
una volta avevamo Bacalov, che per noi era un ‘adulto’,
che interagiva con dei giovani scapestrati; oggi noi siamo
gli adulti ed abbiamo un direttore d’orchestra giovane,
ma che interpreta tutte le nostre follie. E’ eccezionale,
è un cerchio che si chiude! Tra l’altro lui in
concerto esegue un assolo di violoncello ed interagisce con
noi perfettamente”.
Attualmente state portando in giro questo nuovo “Concerto”.
Quali saranno le prossime date?
“Ah,
guarda Marco, parlavamo prima di computer ed agende…
io sono un disastro con la memoria. Vi suggerisco di consultare
il nostro sito
ed il nostro myspace.
Ecco, questo è un modo proficuo di usare i computer
(ride). Però una data me la ricordo! Il 5 agosto, saremo
molto lontani da voi… saremo a Trieste, in piazza Unità
d’Italia. In quella occasione registreremo il dvd di
questo lavoro, ma non solo di questo, registreremo anche il
“Concerto Grosso” numero uno e due. Sarà
una trilogia, che uscirà – spero – in autunno”.
Senti
Vittorio, una domanda che faccio sempre a chi ha avuto l’immensa
fortuna di conoscere una persona della quale mi ritengo, senza
esagerazione, un orfano: Fabrizio De Andrè. Voi avete
avuto una collaborazione profonda, che andava al di là
della musica. Mi racconti qualcosa?
“Ah,
beh, Fabrizio era un amico. Andavo al mare insieme a lui a
Genova ancor prima di fare dischi. Poi, il nostro primo Lp
(“Senza orario senza bandiera”,(1968),
n.d.r.) è stato fatto tutto insieme a lui, porta tutti
i testi di Fabrizio. La prima tournee lui l'ha fatta con una
parte del gruppo (due New Trolls e due componenti dei Nuova
Idea, che entreranno in seguito a far parte del gruppo, n.d.r.),
prima ancora di quella con la P.F.M. Io invece, ho avuto la
fortuna di andare a fare con lui "Non al denaro,
non all'amore né al cielo", mi son ritrovato
in questa produzione a suonare le chitarre, insieme con Reverberi
ed un gruppo di lavoro straordinario. Credo che Fabrizio ci
abbia lasciato da sognare almeno per altri mille anni”.
Si,
avevo sentito questa tua dichiarazione Vittorio e te ne sono
immensamente grato. Ma ti dirò che ritrovo molto nella
vostra produzione delle sue liriche e delle sue parole. Forse
perché eravate così amici, perchè parlavate
spesso anche al di fuori del lavoro…
“Certo,
ci sta anche questo. Però, sai, le sue doti di poeta
e di difensore delle minoranze, di creatore di sogni (ma saldamente
ancorati a terra) è grande e va al di là di
qualsiasi amicizia. Fabrizio è oggi più che
mai universale”.
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