Simone
Cristicchi e il volo libertario di Antonio
di
Giorgio Maimone
Ci eravamo sentiti prima del Festival di Sanremo.
Avevo letto solo il tuo testo e già mi sembrava di
categoria superiore. “Nonostante” questo hai vinto
il festival con una canzone da matti, nel senso che solo un
matto poteva proporla. La prima domanda è ci credevi?
E cosa è cambiato da allora?
Non me
l’aspettavo. Mi aspettavo che potesse piacere a un pubblico
ampio, anche a persone come te, che magari possono stare lì
ad ascoltare meglio il testo, che trovano qualcosa di particolare
nella canzone. Però il grande pubblico, quello che
in parte ha decretato questa vittoria, non avrei mai detto
che si scoprisse una sensibilità di questo tipo. Sul
fatto di cosa sia cambiato, a grandi linee posso dirti che
è cambiato l’atteggiamento nei miei confronti.
C’è un grande rispetto, Quindi questa canzone
non solo ha aiutato a rispolverare questa tematica, ma ha
anche aiutato me personalmente a trovare una credibilità.
Se pensi che molti mi etichettavano ancora come il cantante
di "Vorrei cantare come Biagio"
che è stata una canzone molto equivocata, poco capita.
Anzi,
quasi interpretata al contrario. In effetti anche da parte
della critica ci sono stati grossi elogi ed una riscoperta
del personaggio Simone Cristicchi.
Questa
canzone è stato un miracolo per me. Se pensi che è
nata in pomeriggio. Io di solito ci metto molto tempo a fare
una canzone: mi metto lì, rivedo il testo, la musica,
l’arrangiamento. Questa no. È nata … è
esplosa in un pomeriggio e c’è stato ben poco
da rifinire. C’è stata l’aggiunta di un
quartetto d’archi, ma il testo praticamente è
uscito fuori così, in maniera prepotente.
Penso
che vincente sia stata anche l’interpretazione, perché,
dopo aver letto il testo mi aspettavo un’interpretazione
molto partecipata , molto emotiva. Tu invece l’hai raggelata
e servita a un livello di emozione zero che rendeva molto
più incisivo il testo.
E’
stata una decisione presa a priori questa. Perché la
canzone era talmente carica di parole, di significati, di
concetti che anche un minimo gesto sarebbe stato stonato.,
E quindi ho deputato tutta la teatralità nel finale.
Nel momento in cui io salgo sulla sedia. Quella tra l’altro
è una scena tratta dal mio spettacolo teatrale. C’è
un momento in cui salgo sulla sedia. Ma già c’era
prima di Sanremo. E quindi ho estrapolato questo momento e
l’ho portato in scena a Sanremo. E mi è sembrata
particolarmente apprezzata, perché non facendo neanche
una mossa per tutta la durata della canzone, quel gesto diventa
molto forte, quasi liberatorio.
Il
tuo progetto, che è facile definire multimediale, consta
di un libro, un cd musicale, un documentario e uno spettacolo.
Tutto quanto sullo stesso tema. Ti manca una mostra di pittura
… Scherzi a parte, mi manca di vedere solo lo spettacolo
(che vedrò mercoledì a Milano). Come è
lo spettacolo?
Io lo
definisco un contenitore perché ci sono canzoni, ci
sono monologhi, c’è la recitazione delle lettere
del manicomio di Volterra, una di queste è presente
su disco e le altre sul mio libro. Dopo di che ci sono delle
proiezioni tratte dal documentario e immagini inedite, ci
sono fotografie: è uno spettacolo molto complesso e
molto schierato, perché parla di questo argomento e
anche le canzoni sono a tema. C’è, ad esempio,
il De Gregori de “I matti”,
c’è una canzone dell’ultimo Gaber, “Non
insegnate ai bambini”. Sono tutte canzoni
a tema e io non sono Simone Cristicchi, ma sono Pendolino,
uno dei personaggi del libro Centro
di igiene mentale.
Nello
spettacolo pertanto non vi sono “concessioni”
al pubblico. Non c’è, ad esempio, Vorrei cantare
come Biagio o Studentessa Universitaria?
No. E’
solamente a tema. Ci sono solo canzoni come “Bella
gente” che però c’entra.
Hai
avuto anche qualche reazione negativa per Ti regalerò
una rosa, d’ambiente psichiatrico, ma molte più
reazioni positive. Diciamo che hai contribuito non poco a
risollevare un tema che si stava cercando di dimenticare.
Che ne pensi?
La cosa
che mi ha fatto piacere è proprio questa. Vedere un
servizio sulla legge 180 al telegiornale nel 2007, si vedono
nel tg alcune immagini di manicomi ancora funzionanti, di
persone abbandonate a loro stesse e sentire che in sottofondo
c’è una mia canzone, una mia musica, per me è
stato uno dei momenti più belli. E poi devo dire che
la maggior parte degli psichiatri mi hanno confortato, tra
questi Dell’Acqua che ha lavorato con Basaglia, hanno
apprezzato la canzone. Poi c’è stato chi ha detto
che il finale è un finale negativo, che non dà
speranza. In realtà quello è un finale che sì,
può essere interpretato come un suicidio, ma anche
come un volo liberatorio. C’è uno psichiatra
che ha detto: per me nel volo di Antonio dalla sedia potrebbe
raffigurarsi, potrebbe succedere che Antonio si trasformi
in quel momento in una rondine. E’ proprio la libertà,
la ricerca della libertà e un modo per esprimere quella
tensione.
La
tua attenzione sta però per quelli al di là
del confine, oltre il cancello. Ossia i matti sul serio. Oppure
consideri anche i casi di malessere personale. I casi che
restano al di qua del confine. Che, come dici anche tu, spesso
è sottile
Guarda,
forse la forza di questa canzone sta nel fatto che io ho raccontato
la storia di un uomo che però ha coinvolto un po’
tutti gli ambiti della diversità o comunque dell’emarginazione.
Chi anche per un attimo o un periodo della propria vita si
è sentito messo da parte si è rivisto in questa
canzone. Però il mio intento non era quello. La cosa
buffa è questa. Io ti ripeto ho scritto questa canzone
perché doveva essere la colonna sonora del mio documentario.,
quindi l’avevo pensata per tutt’altro ambito.
e
poi ti è esplosa in mano. Meno male che ogni tanto
succede,
Questo
è quando le canzoni diventano, come dire, proprietà
della gente. Che nelle parole si rispecchia, vede una parte
di sé. Mi hanno scritto tante persone che hanno amici,
parenti, malati di mente. Sono messaggi commuoventi, sarebbero
anche quelli da scrivere e da pubblicare.
Torniamo
al disco. L’avevi definito un disco più “scuro”
del precedente. Io l’ho trovato un album piacevolmente
vario. Ci ho trovato echi di Bennato in "Non ti preoccupare
Giulio", di Rino Gaetano in "L’Italia di Piero"
e molto Simone Cristicchi, nel senso di un autore con una
sua precisa cifra stilistica.
io spero,
poi non ho la visione da fuori di quello che faccio. Non so
se esista uno stile Simone Cristicchi o meno. A me diverte
molto fare musica, perché mi piace avventurarmi anche
in territori musicali molto diversi da me, mi viene in menta
la fanfara dei bersaglieri o anche il rock in un certo senso.
Il disco in generale per me è un divertimento, è
uno specchio anche di quello che mi piace ascoltare e lo rifaccio
anche a modo mio. In questo senso è stato per me per
me un maestro Daniele Silvestri che nei suoi primi dischi
ha creato un calderone di tantissimi generi musicali, ognuno
diverso dall’altro.
Senti,
ma già che li abbiamo nominati, Giulio e Piero chi
sono?
Giulio
innanzitutto è il qualunquista, quello che Gaber chiamava
il qualunquista. Quello che si sveglia la mattina ed è
già stanco, quello che non ha voglia neanche di andare
all’ufficio di collocamento. Per pigrizia o per pessimismo.
Tanto non cambia niente. E infatti il ritornello dice “finché
non vedi, non senti, non parli, va tutto bene”. A volte
non pensare ai propri problemi può essere una via di
fuga, quantomeno, se non una soluzione. Mentre invece Piero
è il classico italiano contaballe, che può essere
un nostro amico, ma anche un politico. Qualcuno che esagera
in tutto quello che dice. Una macchietta. Come nella frase
in cui dice che “Borghezio c’ha una nonna
tunisina”
…
che sarebbe bello scoprirlo … (ridiamo)
Questi
aneddoti magari inventati, queste leggende metropolitane.
Poi
sei anche l’unico che ha creato un personaggio seriale
che, disco dopo disco, cresce e si attualizza. La studentesse
universitaria ora laureata precaria. Andrà avanti?
Assisteremo a nuove avventure?
Oddio
speriamo che si concluda in maniera positiva l’avventura,
perché la situazione è veramente drammatica
la situazione del precariato, soprattutto in un call center.
Ed è qualcosa che ho sperimentato direttamente sulle
mie ossa, lavorando in un call center e facendo lavoretti
per guadare quei pochi soldi che avrebbero potuto permettermi
di continuare con la musica. Magari un finale avrebbe potuto
essere, come dice anche Alda Merini, andarsene via dall’Italia.
Sei
riuscito comunque a rendere accattivante un tema molto personale
e delicato, così come sei riuscito a fare con Piergiorgio
Welby e l’eutanasia nella delicata “Legato a te”.
Tra l’altro
ieri alla prima dello spettacolo a Roma c’era Nina Welby
che è venuta a sentirmi e ho cantato la canzone dedicata
ed è stato uno dei momenti più emozionanti,
uno degli applausi più grandi. Perché forse
anche lì più c dare una critica, un’opinione
personale, io ho cercato di raccontare l’uomo e entrare
un po’ nella sua testa, nella testa di questo signore
che parla con la macchina che lo tiene in vita.
In
una tua autobiografia sul sito avevo trovato che dichiaravi
debiti di passione con "esemplari dotati di un eccelso
impianto cerebrale"come Franco Battiato, Ivano Fossati,
Giorgio Gaber, Nick Drake, Lucio Battisti, Jeff Buckley,Vinicio
Capossela, Syd Barrett, De André, Paolo Conte, Sergio
Endrigo, Chico Buarque e Caetano Veloso. Ce ne sono altri?
O qui troviamo tutto?
Discendo
non lo so. Dal punto di vista del teatro sicuramente Gaber.
Se pensi all’Italia di Piero senz’altro Rino Gaetano.
Canzoni piene di nomi, di aneddoti divertenti. Però
forse non lo so, io sono un miscuglio di tutti quanti. Non
mi viene da dire “il mio padre spirituale in senso artistico
è questo” perché ce ne sono tanti.
E
Alda Merini?
Alda
Merini è una persona sacra per me. E’ la più
grande poetessa italiana e non serve che sia io a dirlo.
Ma
l’hai conosciuta no?
Sì,
l’ho conosciuta perché l’ho intervistata
molti mesi prima di Sanremo per il mio documentario. E fu
un’intervista bellissima, soli io e lei. Ed è
una persona che mi ha insegnato tanto anche perché
sentirla parlare è un incanto, come un incanto sono
i suoi versi.
Parliamo
dell’ultima canzone, non l’ultima del disco che
è Lettera dal Volterra e già vi abbiamo accennato,
recitata da te su una improvvisazione al piano di Giovanni
Allevi. Intendevo “La riposta”. E’ un brano
molto impegnativo. C’è dentro tutto.
Pensa
che quella canzone è stata una delle prime che ho scritto,
risale a cinque/sei anni fa. E’ una canzone a cui sono
affezionato, l’ho riproposta in questa versione. Mi
piace molto l’atmosfera, il fatto che comunque rimandi
tutto a un qualcosa che non possiamo vedere oggi, a un’altra
parte del cancello. E’ un invito anche a superarlo il
cancello. In tutte le sua estensioni possibili.
C’è
una frase bellissima “un buco a forma di Dio”.
Certe
volte ci si sente abbandonati,. Guardando il cielo non si
vede niente. Solamente un buco. Magari non è così,
però in certi momenti viene da pensarlo.
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