Le
risposte-racconti di Sergio Berardo
di
Marco Cavalieri
Parlare
con Sergio Berardo è bellissimo, perché ogni
risposta è un racconto. Mi
ripropongo sempre di sentirlo un po’ più spesso,
anche per sapere come vanno le cose in quella terra di frontiera,
come la chiama lui. Poi, tra i miei impegni ed i loro (le
tournee per i Lou Dalfin sono uno stile di vita!), alla fine
le occasioni coincidono sempre con l’uscita di un nuovo
disco.
Quest’anno,
a dire il vero, le occasioni erano due, anzi tre. C’era
il disco, “I Virasolelhs” (Musicalista/Self),
c’era il loro ritorno a Roma dopo quasi dieci anni di
assenza (!) e c’erano i venticinque anni di attività
della band da festeggiare degnamente (questa estate una mostra
realizzata con il Museo nazionale della Montagna ne riproporrà
storia ed impegno).
Raggiungo
telefonicamente Sergio nella sua abitazione in “Terra
d’Occitania” e la sensazione più bella
è quella di continuare il racconto di tre anni fa esattamente
da dove l’avevamo lasciato (intervista
a Radiocittaperta), proprio come farebbero due amici di
vecchia data davanti ad un bicchiere.
Allora
ragazzi, innanzitutto bentornati a Roma. L’occasione
è davvero speciale, so che ti farai addirittura accompagnare…
“Beh,
si, approfitto per portare a Roma la fidanzata (ride). Lei,
da buona cuneese, non era mai stata nella Capitale e allora…
quale occasione migliore! Sai, noi siamo un po’ ai margini,
anche se a me piace pensare che non viviamo in una provincia,
ma in una frontiera, secondo la filosofia dei Lou Dalfin”.
Come
detto, voi tornate con un nuovo disco a tre anni dall’ultimo
lavoro in studio, con “I Virasolelhs” (pronuncia:
“i virasulèis”, n.d.r.), un cd che testimonia
che il gruppo è in splendida forma…
“Continuiamo
a suonare e divertirci (ride)”
E,
tra l’altro, con questo disco festeggiate i 25 anni
di attività, 25 anni di impegno per promuovere la cultura
e le tradizioni di una comunità, quella occitana, che
conta 180 mila persone
“Diciamolo
per chi non ci conoscesse. Gli occitani d’Italia sono
più o meno 180 mila persone, principalmente residenti
nelle Valli alpine in provincia di Cuneo e Torino. Sono l’estrema
propaggine orientale di un’area vastissima, che va dai
Pirenei al Massiccio Centrale e che comprende tutto il sud
della Francia. E’ il popolo che continua a parlare l’antica
lingua dei Trovatori, che continua a vivere questa cultura.
Prima tu hai usato il termine ‘promuovere’, mi
va bene; un termine che non voglio assolutamente usare, invece
è ‘difendere’, perché penso che
una tradizione sia veramente morta quando la si difende invece
di inventarla”.
Completamente
d’accordo. Peraltro la vostra cultura è vivissima
grazie anche alla vostra opera. Nell’ultima chiacchierata
mi raccontavi di quando da ragazzo hai riscoperto un vero
tesoro a casa dei tuoi: strumenti, foto, libri. E quando andavate
a suonare, gli anziani che vi vedevano passare per il paese
dicevano “Ah, ‘na viul”, cioè una
ghironda…
“Mi
ricordo perfettamente di quando ti ho raccontato questa cosa!
Si tratta della prima ghironda sulla quale ho messo le mani.
Non era un oggetto strano o esotico per i vecchi abitanti
della Valle, ma uno strumento familiare, di uso quotidiano,
che rievocava i viaggi dei suonatori ambulanti, che partivano
dalle nostre Valli per andare a guadagnarsi da vivere. Ecco,
nel frattempo Lou Dalfin è diventato un centro di iniziative,
organizziamo corsi, seminari, nei quali si impara a suonare
gli strumenti tradizionali. L’ultima nostra idea è
stata la ricostruzione di una cornamusa, raffigurata in un
affresco che si trova in una chiesa della Val Maira. L’abbiamo
ricostruita in collaborazione con un liutaio di Tolosa. Poi
produciamo dischi di suonatori tradizionali, di corali, di
gruppi di ragazzi che cominciano a cimentarsi con la musica
occitana. In 25 anni non potevamo essere soltanto gruppo,
avevamo il dovere di fare anche altro”.
Ecco,
poi non so se sia proprio quello a cui ti riferivi ora, ma
in quella telefonica mi dicevi che con altre associazioni
stavate portando avanti un progetto per costruire un vero
e proprio Conservatorio di Arti e Tradizioni…
“Nei
fatti esiste già: si va da corsi che ho organizzato
in questo 2007 per i ragazzi della Val d’ Estura a seminari
di varia natura, da corsi di ghironda a quel progetto di ricostruzione
della cornamusa di cui ti dicevo prima. Tutto questo lavorando
assieme alle Comunità Montane che – ci tengo
a precisarlo – sono Comunità preziose e non enti
inutili e mangiasoldi! Le Comunità Montane sono strumento
fondamentale per l’autogoverno della Montagna, che nascono
in consuetudini di fiera libertà. Quando incontravano
i Savoia per siglare la fedeltà ai Duchi, le Comunità
della Val Maira chiedevano il rispetto delle consuetudini
locali, il rispetto delle scelte di coscienza religiosa (stiamo
parlando del ‘500), la libertà di andare a prendere
il sale dove volevano, quindi non in pianura, ma dall’altra
parte della Montagna”.
Non
so se anche per questo, per questa storia di rispetto e convivenza,
ai vostri concerti c’è un pubblico estremamente
assortito: si va dagli anziani che (a volte in costumi tradizionali)
eseguono danze e balli antichi, ai ragazzini che pogano…
“Credo
anch’io sia per la ragione che dici tu. Sai, io sono
dell’opinione che ognuno debba usufruire del nostro
concerto come preferisce. Oggi sempre più la musica
diventa la colonna sonora di circoli ristretti, il segno di
appartenenza a tribù chiuse. Da noi, invece, si riesce
a veder convivere persone di estrazione culturale, sociale
ed anagrafica più diversa. Si va da ragazzi che abitualmente
ascoltano hip hop e pogano agli anziani che la sera dopo vanno
a ballare il liscio; da noi sono tutti insieme, uno accanto
all’altro e parlando si scambiano le rispettive passioni”.
Ecco,
accennavi alle contaminazioni musicali: so che hai avuto più
di qualche critica dai – chiamiamoli così –
puristi…
“Ah,
guarda (ride) ti racconto un episodio. Quando all’inizio
del ‘900 nella comunità di Parigi sono comparse
le prime fisarmoniche, che hanno affiancato gli strumenti
più tipici della tradizione, come le ghironde e le
cornamuse, i puristi gridarono allo scandalo di una modernità
che veniva ad inquinare gli strumenti classici. Poi la storia
ha fatto il suo corso e non è successo niente, anzi...
I puristi sono veramente una categoria dannosa, che tradisce
la musica popolare, in nome di un’Arcadia filologica,
che non è mai esistita, ignorando il fatto che ogni
tradizione si è sempre arricchita ed reinventata ed
è proprio questo che le mantiene popolari. Se noi avessimo
continuato a far le cose come si facevano (che poi non è
come si facevano, ma come la gente le apprende oggi) probabilmente
oggi avremmo un giro ristretto di collezionisti di danze e
nulla più”.
E
poi è proprio quello il modo di far morire le culture,
no?
“Esatto,
è tradirne le motivazioni, è trasformare le
danze popolari (che sono un mezzo per far festa e per socializzare)
in un fine per fare dell’accademia. E’ il modo
più sicuro per ucciderle”.
Sorrido
solo all’idea di quel che i suddetti puristi avrebbero
potuto dire vedendoti sul palco del Tenco, dove nel 2004 avete
ricevuto la Targa per la migliore opera dialettale. In quell’occasione,
oltretutto, avete avuto un approccio molto rock sul palco,
anche se poi c’era l’omaggio a Virgilio Savona
(“Evviva lo scopone”, n.d.r.), peraltro brillantemente
tradotto in occitano…
“Vero,
anche perché il suono della musica che viviamo funziona
bene sono con i nostri strumenti. Il Tenco è stato
un bel momento, è stato anche il riconoscimento di
una forma (quella della danzacanzone), a cui siamo approdati
dopo anni di cammino, a volte anche inconsapevolmente. Noi
non siamo partiti dicendo ‘ecco, adesso facciamo questo’.
No, noi siamo partiti per suonare, per divertirci e divertire.
Anche quelli che hanno inventato il blues, non lo hanno studiato
a tavolino, lo hanno fatto per divertirsi e per rispondere
ad un’esigenza della loro anima”.
Per
tornare a “I Virasolelhs”, c’è anche
una traccia noTav…
“Ah,
si, questa te la devo raccontare! E’ una vera e propria
dedica, più che una canzone. Quando stavamo per finire
il disco e stavamo decidendo i titoli dei pezzi, abbiamo suonato
alla marcia noTav in Val di Susa. Noi chiudevamo questa grande
manifestazione, alla quale partecipavano trentamila persone,
belle, pacifiche e colorate. E, prima di suonare, me le son
viste sfilare tutte sotto il palco: anziani, bambini, intere
famiglie, tutti uniti contro quello che noi riteniamo un sopruso,
un approccio di stile coloniale con una Montagna che chiede
soltanto rispetto. Così è nata ‘Saré
Dura’, una polka picada la chiamiamo noi, una danza
grintosa dedicata a questa bellissima gente della Val Doira”.
Vedo
poi che c’è anche una dedica ad una squadra di
rugby, l’U.S. Pedona…
“Un
po’ di anni fa è nato questo rapporto di collaborazione
con l’unica squadra di rugby delle Valli occitane. Loro
ci hanno chiesto di fare qualcosa per loro e noi gli abbiamo
dedicato un concerto. In cambio ci offrono il servizio d’ordine
ai nostri concerti… è un servizio d’ordine
utilissimo ma davvero catastrofico per tutta la birra che
riescono a bersi! Ci costerebbe meno la security del presidente
degli Stati Uniti (ride), ma ci divertiamo tantissimo. Questo
rapporto di collaborazione, tra l’altro, non è
casuale, perché il rugby è lo sport occitano
per eccellenza”.
Anche
questo vostro lavoro presenta un bel disegno di copertina
di Luca Enoch…
“Si,
dal cd precedente (L’Oste del Diau, n.d.r.) è
nata una bella collaborazione con questo disegnatore. A mio
avviso è uno dei più bravi disegnatori di fumetti
che abbiamo in Italia. Un giorno al termine di un concerto
a Milano, lui ci ha regalato un disegno, nel quale noi eravamo
i protagonisti, che si recano in un centro sociale per suonare.
Da lì è nata una bella collaborazione e sono
contentissimo anche di questa copertina, perché sintetizza
al meglio il nostro messaggio musicale. Poi, in questo disegno
ci sono tutti gli elementi a noi cari: la ghironda, il mio
animaletotem, che da un po’ di tempo compare in tutte
le copertine, vale a dire il toro, a testimonianza della mia
fede granata (ride); poi c’è il cane, anche perché
abbiamo una canzone dedicata a questo splendido ed impagabile
animale”
Ecco,
leggevo nella presentazione del disco che si parla anche di
cani che sognano… cosa sognano i cani?
“E’
un tentativo di provare ad immaginare cosa c’è
nei loro sogni. Io so che chiunque abbia un cane ha assistito
ai suoi sogni, questi tentativi di corse, le difese, gli attacchi,
il perdersi in profondità di spazi…e allora ho
provato a fare una canzone che raccontasse i sogni del mio
cane”.
Nel
vostro precedente lavoro vi siete avvalsi della collaborazione
di un grandissimo artista, Vincenzo Zitello. Ci vuoi parlare
delle collaborazioni de “I Virasolelhs”?
“Certo,
abbiamo un quintetto di ottoni, Color Brass, Fabio Biale che
è un bravissimo violinista di Savona, il contrabbassista
Stefano Profeta, Lo Coro de l’Escabot, che è
il coro della mia vallata, il gruppo dei Timbales… insomma
abbiamo cercato di guardare a quello che nel nostro territorio
ci sembrava interessante proporre. E poi abbiamo una collaborazione
non richiesta, ma… rubata (ride), ossia Spencer Tracy
che canta un pezzo tratto da ‘Capitani coraggiosi’,
un film del 1937. Lì interpreta la parte di Manuel,
un marinaio coraggioso per l’appunto, un suonatore di
ghironda. Nel film canta una canzone ‘Little fish’,
accompagnato da una ghironda, una splendida ghironda tra l’altro.
Ovviamente nel film lui non suona realmente, ma viene accompagnato
da un’orchestra di violini. Allora noi abbiamo preso
la versione originale della pellicola e abbiamo cercato di
isolare il più possibile la voce di Spencer Tracy dalla
base. Così, dopo settanta anni abbiamo dato voce a
quella ghironda, una collaborazione unica!”.
Io
ti ringrazio Sergio e ti lascio solo con la promessa che non
farete trascorrere altri dieci anni prima di tornare ad esibirvi
nella nostra città... anche perchè dopo un po'
non so più cosa rispondere ai nostri ascoltatori che
mi chiedono di voi!
“Beh,
allora, non fosse altro che per questo… promesso!”
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