Sotto la paglia: ci sono piaciuti

Taranteana: "Sacc' na canzucella alla ruvescia"
E' probabile che quello che mi succede con Celentano mi capiti anche con la musica napoletana. Mi sembrano quasi tutti belli gli ultimi album che mi capitano sotto mano. Questi della Taranteana non so nemmeno bene chi siano, ma quelli che ringraziano le carrozzerie e i bar mi stanno tanto simpatici. Il disco sta bbuono dall'inizio alla fine (e sono 12 pezzi!). Sono canti popolari teanesi, come dice Sergio Romano nella breve introduzione all'album. Ottime le voci femminili e la strumentazione. Quasi inesistente l'apparato note sul disco. Cercate di saperne di più. Io farò altrettanto.

AAVV: "L'accolita dei Rancorosi - Omaggio a Vinicio Capossela"
Disco coraggioso e da premiare anche per questo motivo. Omaggi a Capossela non ce ne sono ancora e questo è un'esempio di come, dal basso, può partire la spinta per fare e fare bene. E il manufatto nonè per niente artigianale come potrebbe essere. ci sono Bugo, i Bevano est, gli Aut, Robert Carrieri, Federico Sirianni, i C|O|D e altri a interpretare canzoni note e meno note del nostro nuovo piccolo principe. Il risultato finale è più che buono. Per averlo cercate su www.irancorosi.com. E non perdetelo!

Stefano Giaccone (e altri): "Come un fiore"
C'è Stefano Giaccone, ma non è solo: con lui Dylan Fowler, Airportman, Art,Ale Malaffo, Gigi e Tomi dei Perturbazione. Il risultato è Come un fiore, un disco di canzoni sulla morte (un bel temino leggero!). Sul morire di solitudine, di isolamento, di povertà, di droga, di vuoto. Contro tutto questo ecco un disco che gronda vita e umanità nel senso pieno delle parole. Dieci canzoni con un tema comune forte come un macigno, due sole "prese in prestito": "Adesso sì" di Sergio Endrigo (ma l'aveva scritta Lucio Battisti) e "Albion" di Chris Wood. I testi delle canzoni (da non dimenticare) sono sul sito www.la-locomotiva.com.

Lautari: "Arrè"
Secondo disco nel giro di poco più di un anno per i Lautari, il gruppo siciliano scoperto e sostenuto da Carmen Consoli. Confermate tute le buone impressioni dell'esordio, che,anzi, ne escono rafforzate. Undici brani che partono dalla tradizione della musica popolare, nonostante la masterizzazione sia stata fatta a New York. Tra i "tradizionali" si segnala "La Malarazza" di Domenico Modugno in cui la voce solista è quella di Carmen Consoli, mentre in "Cantu di la curuna" (altro motivo popolare) al canto troviamo un'altra nostra amica di lungo corso: Rita Botto.

Ratti della Sabina: "Sotto il cielo del tendone"
Per i Ratti della Sabina la vita si configura meglio sotto il tendone di un circo. In questo disco dal vivo, registrato a Roma il 24 marzo scorso radunano il meglio dei loro personaggi per una cavalcata alla Nino Rota, tra le emozioni che si raccolgono Sotto il cielo del tendone. I brani più noti ci sono tutti in una nuova versione. Indispensabile? No, se avete gli altri lavori. Piacevole? Questo di sicuro. E se non li conoscete, beh, questa è una buona occasione per gettare uno sguardo a tutto tondo nel loro repertorio,

Gianna Nannini: "Pia come la canto io"
Dopo il grande successo di Grazie, campione di incassi del 2006, Gianna Nannini si regala un’opera rock, ispirata al personaggio dantesco Pia de’ Tolomei. Meno immediato del precedente, con uso di strumenti etnici, arie pop e sfumature di elettronica. Probabilmente più interessante dal vivo. L’opera è composta dalla Nannini in collaborazione con la scrittrice e poetessa Pia Pera, autrice a sua volta di un libretto che ha ispirato il lavoro discografico. Ambizioso.


Ottavo Richter: "Molly Malone's"
Ottavo Richter nasce dalle idee di Raffaele Kohler (tromba) e Luciano Macchia (trombone), che iniziano la loro avventura musicale suonando per strada nelle notti di Milano. Sono applauditi dai passanti, ma quasi sempre scacciati dai “Ghisa”. La formazione attuale vede, oltre ai due fondatori, Domenico Mamone (sax baritono), Paolo Xeres (batteria), Marco Xeres (basso) e Alessandro Sicardi (chitarra). La loro musica passa dal brassband stradaiolo allo swing, dalla ballad alla bossa, dal jazz contemporaneo al funky. Scanzonato e vivamente consigliato.

Morrigan's wake: "Back to Fireland -25th anniversary"
Sia benedetta la terra del Friuli che ripetutamente ci porta in tavola prodotti di ottima vaglia da ascoltare! C'è un misterioso fil rouge che lega il Friuli alle terre celtiche, che tuttora mi sfugge. Le somiglianze a livello di rispettive musiche popolari non sono così evidenti, ma è evidente invece che Lino Straulino è il fratello separato di Bert Jansch, che gli Indovinatodue hanno mangiato pane e Irlanda e che i Morrigan's wake che sono in attività da 25 anni, come dice il titolo, siano un gruppo che deriva, per gli augusti rami, dalla stessa schiatta dei Fairport Convention o degli Steeleye Span. Viaggio nel tempo. Le musiche sono quelle (in alcuni casi in senso proprio, perché una parte del progetto prevede la riproposizioni di brani tradizionali scozzesi e irlandesi, mentre altri brani sono di produzione loro, ma la differenza si fatica a vederla). Insomma, è il quarto capitolo di una quadrilogia dedicata agli elementi (in questo caso il fuoco). Se vi piacciono i riferimenti culturali che vi ho dato questo disco potrebbe anche stare tra i vostri imperdibili. Per me resta un grande piacere continuare ad ascoltarlo. "The song of the wandering Aengus", tratto da Yeats è da brividi.

Matteo Castellano: "I Funghi velenosi"

Nelle piccole note a margine, Matteo Castellano, ideatore del progetto, scongiura di evitare l'indifferenza. Missione raggiunta. Funghi velenosi può piacere o non piacere (personalmente piace), ma non restare indifferente. Piano, voce e chitarra Matteo Castellano, Claudia Mandrile al violino, Lucio Scarano alle percussioni. Registrazione casalinga. Ma "qualcosa" sotto c'è, si agita, scalpita. Il giro dovrebbe essere quello torinese, dalle parti di Gianluca Bargis. Poesie tese e violente, al limite dell'ingiuria e dello sputo. Molta adolescenza, ma anche una bella carica. "Una zitella al neon" forse il brano più interessante. Da ascoltare ancora.

laMalareputazione: "L'arena instabile"
Caro Federico, il disco è arrivato oggi. Tra pochi minuti lo metterò su. Anzi, sai che ti dico? Lo facciamo al volo. Così ti dico anche le prime impressioni al volo. Copertina buona: mi avrebbe interessato. Titolo: ancora meglio. Intrigante. Nome del gruppo: ottimo. Diffido di chiunque non abbia una malareputazione! Primi suoni buoni. Vedo che ci sono dentro un po’ di Ratti della Sabina e amici vari (come Andrea Ra o Andrea Ruggiero dei Legittimo Brigantaggio). Buon biglietto da visita. Le note stampa sono esaurienti e ben scritte. Le canzoni sono buone, direi al primo ascolto. Adesso vediamo se qualcuna prende in modo particolare: Julienne, Nerina e Ninna Nanna per ora. Ma il livello medio è buono. Bravi. I Ratti sono il riferimento più immediato, ma credo che sia logico, visto la partecipazione di Roberto Billi (e degli altri) al disco. Spero di riuscire a scrivere presto qualcosa di voi. Anzi, sai che ti dico? Magari prendo queste note e le uso per Sotto la paglia. Poi ci sarà tempo per ascoltarvi meglio. Buon lavoro.

Luca Lo Bianco: "La scomparsa di Majorana"
Lavoro ambizioso anziché no. Ma ambizioni ben riposte. Un cd che si ispira liberamente all'omonimo libro di Sciascia e che lo fa mettendo in piedi una rappresentazione per attori e musica. Ci sono due attori, una chitarra, tre sax, basso, voce, piano e batteria per fornire un accompagnamento garbatamente jazz al lavoro. Le musiche sono tutte di Luca Lo Bianco che suona basso acustico ed elettrico e le elettroniche di tutto il disco. Ne esce un lavoro uniforme e intimamente sentito, che va ascoltato con cura. Ne arrivassero più spesso di prodotti così!

Apres la classe: "Luna park"

Sta sotto la paglia da un po', ma se non se ne parla almeno qui, sembra che non l'abbiamo neanche sentito. E' un cd piacevolissimo che merita tutti gli ascolti di questo mondo. Gli Apres la classe sono proprio bravi e sono migliorati ancora. Leggero "Luna park"? Non lo so. Gradevole. Non è esattamente la stessa cosa. Tutte le volte che mi capita per caso sul lettore ne resto piacevolmente sorpreso. Onore al gruppo salentino (non è che in Salento circoli un "gumbo" particolare per cui tutti diventano cantautori?).

Spasulati band: "Pirati nei mhz"
"Pirati nei Mhz" è stato uno dei miei dischi dell'estate! Suonato e risuonato fino a imparare (quasi) l'arbreshe, l'albanese arcaico che identifica la minoranza linguistica più numerosa d'Italia. Il gruppo infatti viene da Santa Sofia d'Epiro (Cosenza), una delle comunità di etnia albanese collocate nella Magna Grecia. Il primo disco loro era molto piacevole con una contaminazione tra ska e reggae (e spezie dub ed etniche), ma il secondo, ossia questo, è molto molto meglio! Un disco da 5 stelle come piacevolezza complessiva. Estivo fino in fondo. Adatto per combattere le nebbie e le tristezze di gennaio. Ascoltatelo. Merita.

Marlene Kuntz: "S-low"
Un album dei Marlene Kuntz che suona, se non acustico, quantomeno rilassato è decisamente un'esperienza nuova. Cristiano Godano continua a cantare come se cantare in italiano costituisse una lingua straniera per lui, ma "S-low" (lento e basso è il gioco di parole del titolo) è un disco che si fa ascoltare. Un po' spiazzante sia per i vecchi fan che per i nuovi arrivi. Il disco è la fedele documentazione del tour della scorsa stagione, dove il trio di Cuneo era accompagnato da Gianni Maroccolo al basso: ballate e rock lenti, ma con la giusta tensione. Una dimensione inconsueta, ma gradevole, quasi un derivato alle atmosfere del loro album più lirico e lento, l'ultimo, "Bianco sporco". Assieme al disco dovrebbe uscire un dv di documentazione e entro l'estate prossima il loro nuovo album che, se è vero quello che stiamo ascoltando, potrebbe andare in questa direzione. Più pacata, più riflessiva, elettrica ma con garbo.

Mario Castelnuovo: "Come erano buone le ciliegie del '42"
Se c'è uno che del garbo ha fatto la sua cifra distintiva e il suo modo di esistere, questo è Mario Castelnuovo. Attivo ormai da molti anni e con molti album alle spalle, "Le ciliegie" non viene ad aggiungere molto a quanto già si sapeva. Capacità di ben raccontare le storie del piccolo mondo antico che gli ruota intorno, quasi fosse un personaggio fuori dal tempo, musiche molto curate e assolutamente acustiche. Qualche collaborazione di prestigio come Athina Cenci e Lina Wertmuller. Totalino: un disco quasi perfetto che ripropone il dubbio del come mai Castelnuovo non riesca a sfondare. Eppure le qualità ci sarebbero ed alcuni brani sono degli ingranaggi a vapore di perfezione artigianale. Eppure ... eppure ....

Furlan Shop Orchestra: "Banda di masnadieri"
Terzo disco per Fabio Furlan e la sua "orchestra", ma primo disco che mi è dato di ascosltarne. Le qualtià ci sono e anche ottimi spunti: "Patè de foie, baguette, champagne / aiutami a capire la realtà" mi sembra un mantra da adottare da subito (da "A chi potrei raccontare"). Non tutto il disco resta a livello delle cose migliori: ottimo "Il drago Ermione", più di qualche dubbio per la infantile "Tarzan nello spazio", che deve a tutti gli effetti essere rubricata sotto canzoni per bambini, ma non delle migliori". Patrizia Laquidara ospite in una canzone ("Prendimi per mano"), molto interessanti anche "In questo vecchio porto" e "La radio messicana" (solo musica) e da segnalare anche la predisposizione di Furlan (che nel passato ha lavorato anche con Marco Paolini e il poeta Andrea Zanzotto, per il cibo (ja di recente aperto unistorante) e per il vino (brinda con noi dall'interno del libretto di copertina. Buono. Poteva esserlo di più.

Monjoie: "Il bacio di Polifemo"
Un disco che viene da lontano. Viene dal passato. In primo luogo perché i Monjoie non ci sono più, si sono sciolti nel 2005, dopo la pubblicazione di questo disco. In secondo luogo perché sonorità e impostazione del lavoro rimandano a quella stagione felice del progressive rock che ha costretto il mondo ad accorgersi del made in Italy. Indiscutibilmente italiani ed altrettanto indiscutibilmente marchiati dalla voglia di fare musica, i Monjoie presentano 13 brani di lunga durata (difficilmente scendono sotto i 5 minuti) caratterizzati da un cantare ispirato e salmodiante, da un suonare corposo e stratificato che attrae e incuriosisce. Erano formati da Davide Baglietto : tabla, derbouka, sonagli, tiktiri, musette del Berry; Valter Rosa: chitarra classica,12corde,elettrica e bouzuki; Alessandro Mazzitelli : tastiere,sintetizzatori e programmazione; Roberto Rosa : basso; Nicola Immordino : batteria e djembe e Alessandro Brocchi (chitarra classica, voce, tambura), autore di testi e musica, che ha continuato l’attività solistica fino a pubblicare recentemente il suo primo disco solista: “Parodia di un esilio”. Venivano dalla zona di Finale Ligure, suonavano assieme dal 1999 con l’obiettivo di coniugare musica etnica, medioevale e canzoni d’autore. Obiettivo riuscito. Sul loro sito (www.montjoie.it) potete sentire i brani in versione ridotta. Il nome? E’ il grido di battaglia dei cavalieri franchi.

Antonio Mainenti: "Don Luiggi e altri canti a-sociali”
Un altro lavoro molto interessante che nasce nelle secche di quella discografia “minore” o fintamente minore, in cui Bielle pesca sempre con grande piacere. Non autoprodotto, ma comunque numero 1 del catalogo di Sicilia Punto L Edizioni, che poi sarebbe Sicilia Libertaria, giornale anarchico per la liberazione sociale e l’internazionalismo. Antonio Mainenti fa tutto da solo: canta, scrive, arrangia e suona una decina di strumenti, tra cui chitarra clasica ed elettrica, viola braguesa, scacciapensieri, tamburello, sinth e campionamenti. Oltre a cantare e a farsi i cori. Potrebbe risultarne un disco di folk scarno, ma non è così: Antonio occupa tutto lo spazio disponibile e con grinta propone soprattutto se stesso e il suo repertorio, che in buona parte si appoggia su tradizionali rivisitati. Ha esperienze di teatro (e si sentono nel modo di porgere le canzoni) e di colonne sonore. “Don Luiggi e canti a-sociali” viene registrato nel 2004. Non aspettatevi niente di classico. E’ folklore risciacquato nel punk, con un piccolo inciso deandreiano, sberleffo obliquo e trasversale. Come se Bugo suonasse a Ragusa … Il sito è www.mainenti.net

Enrico Terragnoli Orchestra Vertical:“L’anniversaire”
Ci è rimasto un po’ indietro anche questo disco. E anche in questo caso è un vero peccato. Da un po’ di tempo in qua trovo che mi piaccia molta più musica di prima. Lo devo prendere come un segnale di rimbambimento precoce? O come il segnale che, andando a frugare tra le pieghe delle produzioni, si possono trovare ottimi prodotti d’ingegno italiani (e anche meno, come in questo caso). Eh sì, perché se Enrico Terragnoli, a cui si dedica il nome dell’orchestra, è italiano, veronese e membro dei Farabutto, “L’anniversaire”, come il titolo lascia intendere è un disco cantato tutto in francese e sostanzialmente un disco di jazz. Avete presente Madaleine Peyroux? Ecco, qualcosa di simile, anche perché la voce dell’orchestra è una voce femminile, quella di Claudia Bidoli (nome italiano, ma perfetto accento francese) che scrive anche tutte le liriche, da cui il sospetto che sia bilingue. Le musiche sono invece tutte di Terragnoli che suona chitarre, basso acustico e kazoo. Oltre a loro, l’orchestra si compone di altre 12 persone(!) che non suonano in tutti i brani. E’ un disco delizioso, con un libretto altrettanto carino. Da ascoltare nelle mattinate di pioggia, ma anche quando c’è il sole. Tanto sono bravi!

Marco Fabi: “La scelta”
Marco Fabi è un altro della cinquina delle targhe Tenco per l’opera prima. Inoltre è della famosa schiatta dei Fabi (Claudio e Niccolò) che tanto hanno dato alle patrie canzoni. Il debutto è interessante. Il disco è fatto di atmosfere pacate e sognanti. Per dare un riferimento ascoltato di recente, le atmosfere ricordano quelle di Simone Meneghello che richiamavano Nick Drake. L’impressione è rafforzata dalla voce sussurrata e dall’ampio utilizzo di archi. Il risultato è più che gradevole, in alcuni passaggi addirittura bello, forse solo un po’ appesantito alla distanza. Meglio sentire qualche brano random, perché le atmosfere, come spesso in questo tipo di dischi, non sono molto variate. Nei ringraziamenti si ricordano, oltre a Niccolò Fabi, anche Simone Cristicchi e Pier Cortese “per gli anni trascorsi camminando insieme uniti da un legame di vera amicizia”. Un debutto interessante e da tenere d’occhio.

Giancarlo Spadaccini: "Millemani"
Siamo nell'ambito della discografia "minore", quella che molto spesso riserva positive sorprese. "Millemani" è un cd autoprodotto, ma fatto col cuore, suonato bene e interpretato altrettanto. E' quasi una sorta di concept disc, come si legge sull'esaustivo libretto. "In queste canzone c'è il racconto di una strada che è iniziata con un primo passo". Ed è un disco in cammino che passa da Cuba e ci ritorna poi più vicino, che scruta nell'intimo e poi ci parla del mondo. Spadaccini, che non è un ragazzino ai primi passi, ci parla di "sincerità" nella presentazione. E questa sincerità si sente tutta, forte e intensa, fino al punto da fare dimenticare alcune piccole sbavature. Se poi si aggiunge che le musiche sono varie e piacevoli, eccoci di fronte al classico prodotto che non andr° mai in radio, ma che fa sempre piacere ascoltare.

Milagro Acustico: "I storie o cafè di lu furestiero novo"
Si sono formati a Roma nel 1995 ed hanno alle spalle, un autoprodotto ("Onirico del '98), due album "americani" (tra cui la prima edizione di questo) e ora due album per la Compagnia Nuove Indye. Quarto album ufficiale, prende lo spunto da un libro di Bob Salmieri, anima del gruppo, su un viaggio a Tunisi, città in cui è nato suo padre, da una famiglia di Favignana. Il tema è sempre quello, a me caro, della convivenza e compenetrazioni tra popoli e culture, il tema del viaggio, il caffé come luogo centrale in cui si mescolano le esistenze degli autoctoni e dei forestieri. E' un disco sulla lunga scia delle opere che hanno come lontanissimo progentitore "Creuza de ma" ed è disco di ammaliante magia e sentori arabi, miscelati con venti balcanici e solo mediterraneo, grazie anche all'azione della trentina di strumenti adoperati da questo ensemble numerosissimo a cui si aggiungono quattro musicisti turchi, registrati in apposite session a Istanbul, oltre a voci della strada che vengono da Egitto, Colombia, Bangladesh e Filippine. Ottimo lavoro.


Fragil Vida: "E così noi"
E così noi abbiamo uno dei nostri gruppi preferiti torna a proporre un disco (il terzo nella loro non sterminata discografia) e, come d'abitudine, il loro lavoro ci piace, ci convince e ci soddisfa. L'abbiamo tenuto un po' troppo a lungo sotto la paglia, anche perché è un disco strano, che non entra subito sotto pelle con la decisione di "Musicanti di cristallo" o col piglio giovanile ma incantevole dell'esordio con "Allez enfants". "Così noi" ha bisogno di più attenzione, anche perché sono, più che canzoni (sostanzialmente una: "L'appeso") una successione di brani musicali con brevi intarsi parlati. E infatti così noi è una colonna sonora, appositamente composta per lo spettacolo di danza della compagnia Alef, ma questo non toglie che sia estremamente suggestivo. Ricorda, in alcuni passaggi "54" degli Yo Yo Mundi, ma soprattutto per l'incrocio tra brani recitati e musiche. Alcuni brani svettano: "Madeleine", "La vita non dimentica", "Niente era reale", "Stelle". Ma vale il tutto nel suo insieme.

Franchi Giorgetti Talamo: "Buongiorno felicità, bentornata tristezza"
Indovinata operazione di Oliviero Talamo che, in occasione della Mostra del Disco organizzata da Area 96 il 22 aprile 2006 a Varese ha rispolverato 16 inediti del trio Franchi Giorgetti Talamo e li ha pubblicati su un cd a tiratura limitata in 500 copie. L’atmosfera è tipicamente anni 70, ma quella delicata fatta di un lavoro di chitarre allo stesso tempo lieve e studiato. L’appartenenza al periodo si sente, ma giustamente e il disco suona bene, in un clima di spigliatezza costruita su testi tutt’altro che banali con un’anima che sta tra il vento e la poesia sociale. E’ un peccato che siano solo 500 copie. Qualcuno se ne accorgerà?

Daunbailò: "Daunbailò"
Colpa nostra. Quando capita capita e bisogna dirlo. Colpa nostra che abbiamo lasciato per un anno sotto libri, fogli di appunti, copertine di dischi, questo lavoro dei Daunbailò. Non sotto la paglia, ma sotto la rumenta e a rischio smarrimento. Poi capita che in una tiepida mattina di settembre, per caso ti rimbalzi in mano. Ed è vero che il primo pensiero è stato "capisco perché si era perduto" perché il disco attacca con un rock furibondo a chitarre sguainate, ma dopo cambia, cambia e cambia ancora. Insomma partenza da Metallica, prosecuzione da Baustelle o Tiromancino o Otto Ohm, il versante nobile del pop rock italiano. Un lavoro molto interessante. I Daunbailò derivano per filiazione diretta dai Mazapegul, sciolti dopo la morte del cantante, ma proseguono su strade leggermente diverse. Più che interessanti.

Harduo: "Ovest hardita Est"
Arriva dalla provvida covata di Folkest ed è un grande disco chitarristico. l'Harduo corrisponde infatti ai nomi di Andrea Vanier e Raffaello Indri che in questo lavoro d'esordio hanno radunato una fitta schiera di pards (Pietro Sponton, Christian Bertok, Fulvia Pellegrini, Flavia Quass - alcuni di loro li avete già trovati in Tischlbong) per mettere insieme 10 brani di grande virtuosismo chitarristico, che ricordano le vette di John Renbourn e Stephen Grossman, quando non gli arcani sortilegi di John Fahey. E' evidente che, qualora vi dilettaste a suonare la chitarra, dopo l'ascolto di questo disco ne fareste legna da ardere, ma è un rischio da correre. Chitarre acustiche (non si sa di che marca!) al servizio di 8 loro composizioni dove la voce (di Flavia Quass) rientra solo in un brano, "Lejania", di cui la stessa Quass dovrebbe aver scritto il testo. Con poco struscio e molto talento ecco servito un disco che vale la pena. Con un brano di 20 minuti finale in cui succede di tutto!

Stefano Scala: "Unsui. Il sentiero dei bambù"
E' una musica che sa di bambù. Musica molto rarefatta, d'ambiente, con brani molto lunghi che portano suoni naturali. come lo scorrere dell'acqua, il frusciare del vento, i movimenti delle foglie, il respiro del bosco, uniti a strumenti tradizionali di altre culture: dallo xilomarimba al shakuachi, dal mu-yu al shamisen, dai gong a mammelle alla burna bells. Stefano Scala, ricercatore musicale italiano, suona praticamente tutti gli strumenti, con l'ausilio di due musicisti, uno giapponese, esporto di musica per flauto dolce giapponese (shakuachi) e l'altro franco-cinese, polistrumentista specializzato in musica folclorica cinese. L'effetto all'ascolto è spiazzante., Bisogna essere preparati. Si viaggia da vette sublimi a un velo di noia, ma il giudizio è globalmente favorevole. Sapendo cosa si va ad ascoltare il respiro ampio della musica prende il sopravvento.

Gai Saber: "La fabrica occitana"
Convincenti, carichi e mai banali. Ancora a conferma che in provincia e fuori dai circuiti ufficiali nascono le musiche e le canzoni migliori. Gai Saber è una sferzata di talento occitanico che ci colpisce in piena faccia come una sferza di vento dopo la pioggia. Sono sette più due ospiti, fanno musica folk acustica, “imbastardita” con elementi elettrici, trip hop e jungle, e di altre culture (darbuka, hurdy gurdy, melodeon, bodhran, djembe). Tra i brani più immediati “Occitania que t’en vas” e soprattutto “La fabbrica occitana” che dà il titolo al disco e che è ispirata di sicuro a “Vedrai come è bello” di Gualtiero Bertelli. Nota di merito per la copertina e per il libretto, documentato e proposto in quattro lingue (occitano, italiano, francese, inglese). Vengono dalle valli occitaniche (Cuneo) e stanno assieme dal 1992.

Gitanes: "La catena"
Restiamo in zona Cuneo, una delle più attive con il Friuli di tutto il nord Italia, l’estremo nordest e l’estremo nordovest, per dare il ben tornato ai Gitanes (sono sette anche loro) che qualche mese ci riempirono di piacere con un demo di cinque pezzi che faceva ben sperare. Speranze ben riposte. “La catena” ora è un disco di 13 pezzi, carico di energia, di sano combat folk e di stampo cantautorale. Possono ricordare ora i Ratti della Sabina (per la carica narrativa), ora i Mercanti di Liquore (per la vena comunicativa). Propongono 7 brani loro, uno di De André (“Volta la carta”), un paio di tradizionali e un altro paio di amici, ma con musica dei Gitanes. Una chicca è la divertentissima “Trauma infantile”. Un altro gioiello, che già faceva parte del demo, è “U megu”, dedicata a Felice Cascione, medico chirurgo partigiano, ucciso dai fascisti nel ’44. Da segnarsi anche “Casa do menor”.

Lautari: "Anima antica"
Non avessero altro merito alcuno questi Lautari, avrebbero almeno quello di essere alla base dei ripensamenti che hanno condotto Carmen Consoli a scodellare quel magnifico lavoro che è "Eva contro Eva". Infatti i Lautari vivo e agiscono sotto l'egida dell'etichetta musicale curata da Carmen Consoli e, come La Camera migliore, sono un ottimo prodotto e un'ottima scelta. A riprova che la cantantessa di musica "se ne acchiappa" e anche parecchio. Offrono musica popolare, ma da loro rivisitata, anzi, completamente rifatta. E l'esito è più che convincente. Ottima strumentazione, buona resa vocale, ottimi brani, anche in italano, come "Il lupo", spassoso eppure pensoso. Tutti i brani sono di Allegra, Castrogiovanni, Fuzio (ossia i Lautari), più qualche aggiunta, tra cui, prestigiosa, quella di Alfio Antico. Musica popolare che non invecchia mai. Un piacere. Come una granita al caffè con panna.

Simone Meneghello: "Le canzoni di settembre” - Bitzero/Self – 2006
Simone Meneghello aveva fatto una cosa molto bella qualche mese fa. In attesa di pubblicare il disco, aveva “provvisoriamente” pubblicato i brani sul proprio sito. Ora gli stessi brani, magari rivisti e riarrangiati, escono su supporto discografico. Il risultato è ottimo: Meneghello, milanese di una trentina d’anni scarsi, percorre strade sulle quali qualche anno fa si era arrampicato con fatica Nick Drake. Le atmosfere musicali sono affini, come pure gli strumenti scelti per raccontarle: chitarre acustiche, violino, violoncello, glockenspiel, oltre a contrabbasso e batteria. Il clima è sognante ma mai rassegnato, per l’appunto “settembrino” come suggerisce il titolo. I testi parlano di eventi normali con assoluta tranquillità. Non tentano voli acrobatici, ma appoggiano adeguatamente le musiche. Unico rischio un po’ di uniformità, ma è un rischio marginale. Disco molto molto piacevole.

Nave Cargo Parampampoli

La difficoltà principale è capire dove parte il nome del disco e dove finisce quello del gruppo. Dopo giorni e giorni di analisi sono arrivato alla conclusione che si chiamano nello stesso modo: Nave cargo Parampampoli il gruppo ed il disco. Se pensiamo che il primo demo del gruppo si chiamava "Il varo" e che la metafora marinara riaffiora spesso ecco che abbiamo risolto la questione del nome. Seconda difficoltà: passare sopra a una grafica da gruppo kraut-rock ed accettare che invece si facesse del folk d'autore. Superati questi due (piccolissimi) impacci abbiamo un disco che piace e anche parecchio. Folk-rock energetico e corroborante, buona voce, un paio di cover (Ciampi, il solito "Il vino" e Vysotskij, il meno solito "De profundis"). Vagano tra Bologna e Liguria. Meritano ascolto ed attenzione.

I Luf: "Il fiore del Sambuco/2"

E i nostri amici Lupi tra Brianza e Val Camonica non riescono a stare fermi un attimo. Ormai calati del ruolo di "Nomadi de' noantri" proseguono a ritmo incessante a proporre uscite discografiche, editoriali, miste, cestini omaggi, vasi di fiori, magliette, fogli volanti ... tutto quello che può servire per far ricordare a tutti che i Lupi sono ancora in strada. Questa uscita è il secondo capitolo di una magnifica iniziativa già celebrata lo scorso anno: "I fiori del sambuco" il cui ricavato sarà devoluto all'associazione “A força da partilha”, che da anni si occupa di volontariato nella difficile realtà dei bambini di strada del Brasile. Quattro canzoni di cui due molto belle: "La stagia de Thor" (La spada di Thor) e "Sgunfi d'amur" (Gonfio d'amore) e due "solo" belle: "Capitan Pincianell" e "Libertà". Ospite di lusso in tutte le canzoni: Flavio Oreglio che si alterna con Dario Canossi al canto. Cercatelo, merita.

Sotto la paglia: ci sono piaciuti ... un po' meno

Giuliano Dottori: "Lucida"
Intendiamoci, non ha assolutamente niente che non vada questo cd. Suona molto bene e le atmosfere sono costruite con cura. Ma se devo dire che è il tipo di musica che mi fa sognare no, non lo è. O meglio, la musica sì, il canto meno. E' corretto, quasi oltre il limite, levigato fino a sfiorare il pop, ma emoziona solo in qualche passaggio, come "Endorfina", molto bella. Se vogliamo un ibrido tra nuovo rock alla Afterhours e atmosfere più morbide con reminiscenze di country Usa. Per chiarire ancora meglio è un magnifico disco da 6/7, gli manca un nulla per salire al gradino superiore. Prometto di riascoltarlo, però: i numeri ci sono.

I Nuovi Trovieri: "Gira ra rova"
Musica popolare tradizionale. in senso stretto. Forse bisognerebbe amare più questa che quella di derivazione irlandese. Eppure, per quanto siano bravi, dopo un po' insorge il senso del dejà vu. Sono 28 canzoni, tra cui Donna Lombarda o la Canzone delle uova o La sposa morta, tutte di tradizione popolare. Suonati e cantati con molta passione da Gianni Ghé (voce), Gianfranco Calorio (voce e chitarra), Raffaella Scala (violino), Giorgio Penotti (voce, sax soprano e flauto), Daniela Caschetto (basso) e Massimo Grecchi (batteria). Ma è proprio materiale per appassionati. Molto ben eseguito.

Il canzoniere delle sette lune: "Vennero donne con proteso il cuore"
Ecco un progetto strano. Prendiamo le poesie di Guido Gozzano e costruiamoci attorno uno spettacolo. Comprimiamolo su disco e vediamo cosa ne viene fuori. Per l'esattezza un "melologo di Giorgi Penotti su testi di Guido Gozzano". Formazione composta da Anna Maria Ornetti (arpa e voce), Giorgio Penotti (sax soprano, basso, chitarra e voce), Daniela Caschetto (violoncello), Massimo Grecchi (percussioni). Recita Laura Bombonato. Sì, avete letto bene: tre del gruppo sono gli stessi dei Nuovi Trovieri. Ma la formula è molto più interessante. Solo che ... il radiodramma che ne deriva non ammette quasi repliche. Come considerarlo un disco? Ossia un oggetto da sottoporre a ripetuti ascolti? E' più uno spettacolo, un unicum, in quanto tale molto interessante, ben suonato e ben orchestrato. Un vero piacere! I pezzi migliori infatti sono quelli solo musicali. Però tutto quanto è molto elegante e ben pensato.

Antonio De Rose: "Con Grazia"
Un piacevolissimo viaggio sulle corde del tempo con una chitarra. Disco per virtuoso, solistico o al massimo con due chitarre o due chitarre e un flauto, ripercorrendo la strada che lega il bambino Antonio, negli anni '50, accudito da sua sorella Grazia (da cui il doppio senso del titolo) al talentuoso chitarrista attuale. I brani si sgranano con piacevolezza inalterabile e grazia (perdonatemi!) leggera. Il quadro si compone di colori vividi e pastelli tenui, aiutato dall'ottima confezione della neonata etichetta Zone di musica. L'unico peccato (veniale) è che sono 27 brani per quasi 68 minuti di musica! Un po' troppo. Prendetelo a piccole dosi. Lo godrete di più.

Antonella Ruggiero: "Stralunato recital_live"
Che classe la signora! Che grande classe! E che voce. E nondimeno un filo di noia. Tanta maestria da restarne ammirati, stupiti, aboccapertati, tra classici più o meno nuovi ("Io vorrei ... non vorrei ... ma se vuoi" di Lucio Battisti, "Mi sono innamorata di te" di Luigi Tenco. "Vacanze Romane" dei Matia's Bazar). Tra gli accompagnatori Mark Harris, alla produzione il marito Roberto Colombo. Tutto a posto, compresa una copertina bianca candida e senza nessuna concessione. Tutto registrato dal vivo tra il 2003 e il 2006. Ma alla fine 16 canzoni sembrano troppe. Forse sono troppe?

Enzo Avitabile: "Sacro Sud"
Disco finito nella cinquina del Tenco, in gara per la Targa per le canzoni in dialetto. Senza volerlo (o volendolo benissimo) si è creata una nuova categoria: i “quasi premiati”. Già tutti quelli rientrati tra i 5 in gara per i giovani o per il disco in dialetto hanno aggiornato i propri siti internet con l’informazione. Com’è “Sacro sud”? Non molto diverso da un solito disco di Avitabile. Non trovo guzzi, non trovo motivi particolari per ricordamelo, non trovo peraltro nemmeno nessun motivo per parlarne male. Quando uno è un professionista che da molti anni calca le scene, difficilmente uscirà con qualcosa di stravolgente in ambedue i sensi. Hanno fatto eccezione Fabrizio De André con “Creuza de ma” e Fossati, prima in senso positivo con “Buontempo”, poi in senso negativo con le ultime uscite. Avitabile si mantiene sul suo standard? Indispensabile? No … e(a)vitabile.

Lucilla Galeazzi: "Amore e acciaio"
Ecco un ‘altra beneficiata delle Targhe Tenco. Che dimostra solo che per le categoria cosiddette “minori” (esordienti e dialetto) l’ascolto della platea di giornalisti votanti è in genere distratto. E’ un brutto disco quello di Lucilla Galeazzi? No. E’ un bel disco? No. E’ un disco non necessario. Che non aggiunge nulla e nulla toglie al panorama musicale. Canta bene, certo, viene dalla scuola di Giovanna Marini, ma l’anima dove sta? Lucilla Galeazzi compita degli eleganti esercizi di stile che, alla lunga, risultano stucchevoli. Mi piacerebbe sapere se c’è qualcuno che è riuscito ad ascoltare questo disco due volte di fila. Io non sono tra quelli. L’ho ascoltato per puro dovere, ma non è scattata la scintilla. Canzoni di amore e acciaio, perché in bilico tra San Valentino e storie di acciaieria. Le canzoni sono in parte di composizione della Galeazzi e in parte derivate dalla tradizione contadina e operaia di Terni. Ne risulta un disco, forse di studio, ma certo datato e polverosetto. E poi soprattutto con una voce che non emoziona. Questione di gusti: i miei non li incontra. Brutto? Per carità no. Ma se posso scegliere, ascolto altro.

Alberto Morselli: "Da un'altra parte"

Per una di quelle strane coincidenze della vita mi capitano sotto mano assieme il primo disco solistico di Cisco e l'ultimo disco solistico di Alberto Morselli, rispettivamente secondo e primo cantante dei Modena City Ramblers, ma, al di là di questo, personalità opposte che forse nemmeno si stanno tanto simpatici a vicenda. Sta di fatto che Morselli è uscito dai MCR dopo il primo disco (lasciandoci tutti nello sconcerto più totale) in dissenso su tutto, sorpattutto dal punto di vista politico e Cisco ha preso in mano il pallino del gruppo con la sua uscita. Ora Cisco se ne va dai Modena, ma il suo disco "La lunga notte" suona in tutto e per tutto come fosse dei MCR, Alberto invece fa un disco che se ne discosta parecchio. Non brutto, no di sicuro e con anche qualche pezzo molto convincente, ma piuttosto indefinito e nebuloso, con delle svisate verso il pop. Mi lascia convinto a metà: lo metto sotto la paglia e lo lascio maturare. Ne avrà senz'altro beneficio. La voce, comunque, è sempre quella!

Dinamo Folk Rock Band: "Profili profani
Gaudiosa band di combat folk, sa il fatto suo, diverte e picchia come si deve, mette stamina in corpo e voglia di saltare. Il disco, dal canto suo e convincente e loro sono bravi. Resta solo un po' il sospetto che il tempo per il combat folk sia ormai irrimediabilmente passato. Sì, ancora valido come base, come scala d'accesso per il palco, come sistema per farsi comunque ascoltare (e infatti il loro disco si ascolta con piacere), ma mi sembra sia necessario andare un passo oltre. Potrei sbagliarmi ma la Dinamo Folk Rock Band ha l'energia per farlo.

Indovinatoduo: "Indovinatoduo"
Come di prammatica in un esordio disco e gruppo si chiamano allo stesso modo. E' un duo come gli Harduo (che però hanno "indovinato" un nome migliore col suffisso in -duo) e vengono sempre dalla sponda del Folkest. Si tratta di Flavia Pellegrini (violinista) e di Pietro Sponton, percussionista. Sì, sono sempre loro: gli stessi di Tischlbong e di Harduo! Mettono insieme un disco di grande classe e atmosfera, suggestivo, meditativo, profondo, ma ... irrimediabilmente irlandese. Ce n'era bisogno? Mah. Questa scelta toglie qualcosa al piacere dell'ascolto che pure è tanto. Se poi aggiungiamo che i brani sono tutti tradizionali irlandesi tranne uno, il ciclo si chiude. Ed è un po' un peccato.


Piero Brega: "Come li viandanti"
Piero Brega ha una lunga storia e questo disco circola già da parecchio. A lungo è stato "Sotto la paglia" e in tutte le posizioni possibili: da "non parleremo di .." a "ci sono piaciuti", prima di approvare a questo "Ci sono piaciuti ... un po' meno". E' un disco molto diseguale e la voce di Pietro Brega non è da Guinness dei primati, piuttosto da Guinness della noia, ma è anche un disco che contiene almeno un paio di bellissime canzoni: "Giulia" e "Sali sole". Oltre a essere sempre suonato in totale grazia di dio. Piero Brega nasce con Canzoniere del Lazio nel lontanisismo 1974, quando tra i suoi componenti si trovano grandi nomi come Carlo Siliotto, Francesco Giannattasio e, dietro le quinte, Mauro Pagani. Lo scorso anno dubutta da solista (oltre trent'anni dopo l'esordio) e vince il Premio Ciampi per la serie "largo ai giovani" (Brega ha quasi sessant'anni). Al disco hanno collaborato grandissimi nome come Danilo Rea, Michele Ascolese, Antonello Salis, Paolo Fresu, Ambrogio Sparagna, Roberto Gatto, Nando Citarella, Gabriele Coen, Elio Rivagli, Marcello Sirignano, ma questo non toglie che il lavoro sia discontinuo e datato. A cavallo tra musica popolare e d'autore. Tra luci intense e ombre cupe.


Marco Panattoni: “L’America” - Autoprodotto – 2006
Tutto dipende da cosa ti aspetti. Il primo disco di Marco Panattoni mi era piaciuto parecchio. Si intitolava “Gonne di gabardine” (magnifico titolo, peraltro) ed era solo un “progetto di cd”. C’erano echi di balcani e derive caposselliane o contiane, ma era appena il 2001: gli epigoni erano pochi. Quando mi è arrivato tra le mani questo “L’America”, la prima reazione è stata di delusione. Il disco aveva un piglio decisamente rock e mi era quindi sembrata un’involuzione. Questo gli è valso mesi di attesa tra “i non ascolti”, nonostante un (bel) brano, cantato in duetto con Guccini (“Ti ricordo Amanda”). Ripreso tra gli ascolti ora devo riconoscere che il disco è buono. Non è all’altezza del primo, ma comunque merita di essere ascoltato e il tiro rock, con tanto di schitarrate elettriche, non è affatto male. L’America peraltro a cui si riferisce (nei testi) Panattoni è quella del sud, anche se la musica richiama quella del nord. Sono canzoni eminentemente politiche e dio sa quanto ne abbiamo bisogno. Lunga vita a chi ha voglia di cantarle ancora!

Giancarlo Velliscig: "Obsoleti"
Devo dire la verità: a un primo ascolto non mi era piaciuto. Pur dotato di musiche interessanti, mi sembrava che la voce facesse troppo fatica a stare dietro ai ritmi che si era scelta. Sembrava la classica volta in cui le ambizioni sono superiori alla realizzazione. A ulteriori ascolti (che sono quanto mai necessari con i dischi di autori non conosciuti) mi sono accorto invece che il prodotto lievitava. E se pur rimangono perplessità sulla voce cresce la considerazioni sul valore delle canzoni. "Berto Tripoli" e "Sera a Marghera" sugli allori. Siamo in Friuli. Ma la musica non è tradizionale, semmai jazzata, e la lingua scelta è l'italiano e non il friulano (tranne in un caso, ma si tratta di Pasolini!) e per finire testi "impegnati", come si sarebbe detto una volta. Disco destinato a crescere. Gli ha fatto bene, per quanto mi riguarda, restare "Sotto la paglia"

Stefano Pastor: "Una notte in Italia"
Non si può dire che non sia un disco coraggioso e, a modo suo interessante. Stefano Pastor, jazzista, ha avuto una bella idea: prendere una manciata di canzoni d'autore italiane e provare a renderle con un trio jazz composto da lui stesso (al violino, percussioni, chitarra e flicorno), Massimiliano Rolff (al basso elettrico) e Maruzio Borgia (alla batteria e surdo). L'idea è bella, ma il risultato è diseguale. Si passa da canzoni molto indovinate ("Estate" di Bruno Martino) ad altre che stanno in piedi più a fatica ("La canzone di Marinella" di De André). Da riascoltare.

Silvia Dainese: "Demo 2002/2005"

Di questo demo mi convince del tutto solo la copertina. Per il resto trovo esattamente gli stessi pregi e difetti cheagitano quasi tutto il mondo cantautorale al femminile. Convinzione altalenante nei propri mezzi che fa puntare su scorciatoie ritmiche "moderniste" o radiofoniche che non riescono comunque a dare visibilità al prodotto e lo "globalizzano", immiserendo gli spunti di originalità che invece ci sono. Silvia Dainese fa tutto da sola (anche le copertine dei cd che sono tutte disegnate a mano, una per una. Cantante genovese di 26 anni, si mette in luce nei concorsi, generalmente riservati alle cantautrici, ma su disco convince meno che dal palco. Testi acerbi e voce interessante, ma non sufficientemente personale. "Parto per la luna" e "Colore viola" sono i meglio frutti, ma basterebbe un poco più di coraggio ...

Marcella Garuzzo: "Demo"

Per Marcella Garuzzo non valgono in pieno le stesse considerazioni fatte per Silvia Dainese. Qui c'è solo una chitarra e la voce, molta grinta, una bella voce. Ma ... come dire? Poche novità anche qui. Forse più convinzione nei propri mezzi e meno timidezze, per queste 5 canzoni "registrate in home recording nella mia stanza a Genova". Tuttavia la città è la stessa di Silvia, Genova; l'età pure, 26 anni, ma in questo caso siamo di fronte a un difetto di arrangiamenti, là in un eccesso. Insomma qualcosa di interessante sotto c'è. La prima canzone "Tracce sulle dita" è pure bella, ma non si può sempre giocare sulle stesse modulazioni della voce. Da rileggere i testi, ma, al volo, non lasciano tracce profonde.