Ritorna
l'epica dei Fratelli Severini: quanto ci mancava!
di Leon Ravasi
Quanto
ci sono mancati i Fratelli Severini! Quanto durante tutta la lunga
e tetra era Berlusconi abbiamo sentito la mancanza dei loro canti
di lotta, degli slogan (massì, ci vogliono anche quelli!
Mao Zedong, in fin dei conti era un grande uomo di marketing!) da
urlare cantando e stringendo almeno idealmente il pugno. Invece
silenzio. Chiuso il difficoltoso rapporto discografico con la Wea,
con il controverso "Controverso", per i Severini Bros
è inizato un lunghissimo neverending tour che li ha portati
a suonare in giro per l'Italia quasi ogni sera negli ultimi tre-quattro
cinque anni, ma anche una prolungata lontananza dalle sale di incisione,
parzialmente interrotta dal disco con la Macina, "Nel
tempo e oltre, cantando".
Ma anche lì non c'erano canzoni nuove! Non trovavamo le parole
dei Gang nel momento in cui ne avevamo più bisogno: gli eroi
erano stanchi? Ne abbiamo avuto paura. Ma poi tanti piccoli segnali
ci facevano capire che i Gang c'erano ancora: le migliaia di collaborazioni
(Marmaja, Del Sangre, Luf, Claudio Lolli, Mcr), gli album tributo
(De André, Resistenza, Augusto, Luigi Tenco), il loro "spendersi"
con tutti e per tutti, il loro libro "Banditi
senza tempo". E le dichiarazioni nelle interviste: "siamo
pieni di canzoni nuove, ma non le facciamo prima che esca il disco,
per non stancarci e non stancarvi". E finalmente abbiamo il
disco: non ci mancano più. Marino Severini e Sandro Severini
sono tornati. E "Il seme e la speranza" finisce direttamente
tra i migliori dischi della stagione.
Sette inediti e quattro riproposizioni, ma con arrangiamenti affatto
diversi: "Comandante", "Chico Mendes",
"La pianura dei sette fratelli" e "La canzone dell'emigrante"
(ma quest'ultima, che viene da "Reds"
del 1988 e che è stata scritta con Ambrogio Sparagna, è
ora tradotta in italiano). Ma, come è ovvio, non sono le
riproposizioni il punto più interessante del disco, anzi,
le prime due sono, tutto sommato, trascurabili e pleonastiche, ma
in tema con l'argomento generale del disco. L'interesse sta tutto
negli inediti e anche nel fatto, come indicato sopra, che il disco
è un disco a tema, praticamente un concept se ancora mi si
passa questo termine desueto. Complice uno "sponsor" che
è la CIA (non mettetevi in allarme: è la Confederazione
Italiana Agricoltori delle Marche!), il protagonista dell'album
è il mondo contadino, a cui si rifanno atmosfere e storie
narrate. Anche quando questi contadini vengono da altre coordinate
e con altre lingue.
"La
civiltà, nel senso reale del termine, consiste non nella
moltiplicazione ma nella intenzionale e volontaria riduzione dei
bisogni. Solo questo porta alla vera felicità e appagamento".
Questa frase di Gandhi introduce al lavoro che si dipana attraverso
12 quadri, che potrebbero a loro volta essere divisi in quattro
momenti diversi: dal primo al quarto brano gli inediti (splendidi!),
una fascia centrale di tre brani dedicati all'America Latina (e
ai suoi campesinos): "A la molina no voy mas"
di anonimo peruviano ma che fu cantata da Victor Jara, seguita da
"Comandante" e "Chico Mendes, una terza fascia di
canzoni popolari come "Saluteremo il signor padrone"
omaggio a Giovanna Daffini, ricca di stamina, ma
inferiore alla antica versione rock di Eugenio Finardi e "La
pianura dei sette fratelli" che popolare non
è ma lo diventerà e che qui è riproposta nella
versione del Coro delle Mondine di Novi a ribadire
una volta in più la sua appartenenza alla grande tradizione
della musica popolare. E infine la quarta fascia che prevede la
cover di "This land is your land"
di Woody Guthrie e la "autocover" di "La
canzone dell'emigrante" (ex "Emigrant
song"). Chiude l'ultimo inedito, il lungo parlato
di "Il lavoro per il pane" di
Marino e Sandro Severini, ma ispirata a una "visione"
di Mohandas Gandhi.
Quattro stazioni per parlare del lavoro nei campi, dei contadini,
del recupero di un umanesimo attaccato alla terra e contrario alla
deriva tecnologica. Se vogliamo, per alcuni aspetti, le sonorità
riscoperte dai Gang e i temi trattati, sembrano gettare un ponte
verso l'ultimo lavoro di Bruce Springsteen, quel
"We shall overcome"
dedicato a Pete Seeger, ma anche, andando più indietro nel
tempo, con l'ottimo "Rough Harvest" di
John Mellencamp. Album rustico e ruspante, ma intinto
nelle tonalità del tramonto, più che in quelle del
lavoro o della fatica del giorno. Cambia addirittura la voce di
Marino per cantare queste storie, si fa più pacata, tranquilla,
non urlata, quasi dolente. I tono sono soffusi e partecipi, come
compete a gente che lavora e che dalla terra strappa il necessario
per vivere.
I Gang, poi, hanno sempre avuto una vena epica molto marcata e in
un disco di questo tipo tale propensione può venire fuori
appieno. La costruzione delle canzoni, come la costruzione di un
amore, "spezza le vene delle mani / mescola il sangue col sudore
/ se te ne rimane". Ed "E' terra nostra"
così fa, con frasi come "E' terra nostra quella
/ che sogna le farfalle / che ci rivolta il cuore / piegandoci le
spalle", dedicata alle colline marchigiane. "morbide
come un mare in quiete, a volte anche malinconiche". "Lacrime
del sole" è il secondo inedito, a sua
volta colossale: dedicato alla cultura contadina ed al ciclo delle
stagioni: "siamo lacrime del sole / siamo fiato del vulcano,/
sioamo cenere di vento / siamo polvere di grano / siamo i solchi
della terra / siamo i calli della mano / siamo avanzi delle nuvole
/ siamo pane quotidiano".
Ma le prime quattro canzoni sono montate con accuratezza e con saggezza:
"A Maria" è ancora superiore.
Dedicata a Maria Santiloni Cavatassi, da una famiglia di mezzadri
alla militazza nella Resistenza e nel Sindacato. Canzone epica quanto
altre mai. Già un classico al primo ascolto: "A
Maria che ha seminato la speranza / sopra i campi e sopra ai campi
ha lottato / perché lavoro è forza se diventa unione
/ e allora il seme si fa sindacato". Peraltro è
la canzone che contiene la frase che dà il titolo all'album:
" A Maria che sempre condiviso / quelle stagioni che danno
l'abbondanza / che ogni volta fanno nuovo il sogno / quello sospeso
tra il seme e la speranza".
Se "A Maria" sembra una canzone epocale, la successiva
"4 maggio 1944 - in Memoria" forse lo
è. Intessuta della stessa stoffa di cui sono sono fatte "Eurialo
e Niso" o "La pianura dei 7 fratelli" e scandita
su una progressione dei nomi dei prigionieri catturati nel rasterllamento
e destinati alla fucilazione, che ricorda un po' il Marco Paolini
dei "Sette fratelli" eseguita coi Mercanti di Liquore.
Tra i "condannati" c'è anche " Mazzarini Palmina,
di anni sei ... Presente!" E bisogna avere la pelle di un rinoceronte
per non provare a quel punto un brivido di coinvolgimento.
Nella disamina del disco non possiamo trascurare "This
land is your land" che è Woody Guthrie
al 100%, ma è anche la raccolta e la chiamata a raccolta
di quanto di meglio di rock, il folk e il combat rock hanno proposto
negli ultimi anni: cantano in questa canzone, assieme a Marino Severini,
Stefano "Cisco" Bellotti, Graziano Romani, Michele
Anelli, Alice Fabretti, Francesco Grillenzoni, Andrea Parodi, Maurizio
Zannato, Paolo Archetti Maestri, Gianluca Spirito, Lorenzo Semprini
e Luca Mirti che, per giunta, suona anche l'armonica. Vale
a dire pezzi di Modena City Ramblers, di Yo Yo Mundi, di Del Sangre,
dei Tupamaros, dei Marmaja, del Ned Ludd, dei Rocking Chairs, dei
Miami & The Groovers e dei Ratoblanco. Esaltante il mood che
ne emerge: una sorta di "we are the world in salsa de noantri".
Già che siamo sui nomi ricordiamo che con Marino e Sandro
Severini suonano fissi Paolo Mozzicafreddo alla
batteria, Francesco Caporaletti al basso e cori
e Marco Tentelli alle tastiere, ma non si possono
dimenticare le partecipazioni di Anga Piemage Persico
al violino, Eugenio Merico alla chitarra e soprattutto
gli interventi essenziali di Max Marmiroli ai sassofoni.
Ultima nota per il bel disegno di copertina, opera di Enzo
Cucchi, pittore e poeta marchigiano che ha illustrato anche
l'ultimo lavoro de "La macina". A proposito, anche Gastone
Pietrucci de La Macina partecipa al disco come una delle
tre "voci della terra".
Insomma, un grande disco di epica popolare e di passione: per la
terra, per i suoi ritmi e per i riti, per il procedere naturale
delle stagioni, per la musica che accarezza e non ferisce, per le
parole che non si chinano mai dome, ma si innalzano orgogliose a
rivendicare radici e ali di una lunga storia non ufficiale, fatta
di persone e non di personaggi. Per il coraggio, la coerenza, l'indomita
costanza di Marino e Sandro Severini. A loro vada il nostro ....
Grrrrrazie!!!
Gang
"Il seme della speranza"
Lifegate Music - 2006
Ascolti collegati
Ultimo
aggiornamento: 01-06-2006 |