Un
disco militante? Non lo so. Ma certo un disco "vertical"!
di Leon Ravasi
La
principale novità è che questo disco lo troverete
distribuito! Non capita spesso con i “Primi ascolti”
di Bielle, dove i dischi o non esistono o si trovano solo su internet
o si tratta di un demo che abbiamo solo noi o, infine ancora, è
un nostro amico che ci ha canticchiato i brani per telefono. Questa
volta no. I Resto Mancha li trovate da Feltrinelli, da Ricordi,
nei Megastore e chissà dove altro mai. D’altra parte
questo disco lo abbiamo tenuto così tanto “Sotto la
paglia” da averlo fatto probabilmente anche figliare. Ma posso
garantire, dopo centinaia di ascolti, che non è andato a
male!
Siamo sempre
nell’ambito di quelle produzioni che arrivano alla prova discografica
dopo anni di tribolazioni e preparazione. E ci mettono così
tanto tempo che, nel frattempo, il progetto che c’era sotto
e il gruppo che l’ha stimolato e realizzato, non esistono
più. Germano Bonaveri, che è il deus
ex machina del lavoro, nel frattempo ha messo su barbetta bianca
e capelli lunghi e sta per iniziare a registrare in questi giorni
“Magnifico”, il suo nuovo disco in proprio.
Pur tuttavia i Resto Mancha, gruppo nato nel 2001,
sono sopravissuti, come gruppo di spalla del leader. Il progetto
cambia, in fondo, solo relativamente. Anche in “Scivola via”
tutti i testi e parte delle musiche erano “made in Bonaveri”.
Le altre musiche sono di Fabio Guercio e Luigi Bruno.
Siamo di fronte
alla classica situazione della one-man band che cambia denominazione?
No, la band c’è e rimane: Gaetano Alfonsi
alla batteria (ora sostituito da Max D’Adda), Fabio
Guercio alla chitarra (ora Antonello D’Urso), Luigi
Bruno al piano e fisarmonica, Luca De Riso
al basso. Questo insieme di persone, con Germano Bonaveri
alla voce e chitarra incide nel 2003 “Scivola via”,
seconda prova su disco dei Resto Mancha, ma la prima “Il
pagliaccio di strada” è di difficile reperibilità.
Blues e swing l’imprinting, la Spagna è nel cuore,
ma cantautorale è tutto il progetto che ha il vantaggio di
appoggiarsi su un pugno di magnifiche canzoni.
E già
tra le prime canzoni ci tocca la migliore del lotto, quella
“Classe 1923” che sembra una canzone della
guerra di Spagna (soprattutto nella versione in catalano offerta
a fine disco come bonus track). L’illusione è perfetta,
il clima è ricreato a meraviglia, la pronuncia è credibile
(almeno a un ascoltatore casuale) e il fascino che dispiega è
grande. Non si può ascoltare “Classe 1923” e
pensare di avere a che fare con un gruppo al suo primo lavoro. Opera
matura e sostanziale, dal testo denso come un vino rosso non trattato,
un Barolo verace o un Tempranillo invecchiato, coronata dalle parole
di Che Guevara. “Classe millenovecentoventitre, / puoi
lasciarmi qualcosa? / Tra le mani stringi il bossolo svuotato /
delle opportunità. / Come stringere le mani di una donna
/ o regalare una rosa, / l'Appennino che si sveglia all'alba ma
vorrei sapere / quale sapore ha / la riconquista della libertà.
/ Certo non è stagione / e la rivoluzione ormai non si farà,
/ non serve un ideale / in questo carnevale che è l'umanità,
/ né santi né bandiere / dentro l'ascensore della
civiltà”.
Ma i brani interessanti non terminano qui. “La
ballata delle rivolte” che apre il disco fa
di sicuro venire voglia di proseguire con gli ascolti, “Scivola
via” ha un vago sapore balcanico che però
non sbraca mai in copie mal eseguite bregoviciane, mantenendo una
spina dorsale verticale per tutta la durata. “Randagio”
si apre quasi come un blues che dà spazio poi a uno swing
travolgente. “Non ci sei”
è vecchioniana e, come tale anticipata da un breve parlato.
Il tema è quello eterno dell’ “amore che vai”,
ma trattato con cautela e dolcezza, con un’intrigante inserto
di fisarmonica, atto a strappare il cuore anche all’animo
più rude. “Non ci sei” è frase maledettamente
definitiva, è frase che tutti abbiamo o abbiamo prima o poi
avuto in cuore. “Sei l’attimo fuggito via / l’angoscia
di un’altra agonia / per le strade / tra le cose non ci sei”.
Uno dei punti più interessanti dell’album.
“Albero”
richiama moltissimo, almeno nelle battute iniziali
“Il volo di carta” dei Sulutumana. Quasi altrettanto
gradevole nel suo incedere jazz leggero, con uno slargo melodico
alcolico da sentire in bocca a Frank Sinatra! “Cenere”
e “Mani” costituiscono
la parte centrale del disco: pianistica la prima e poi quasi bandistica,
con una vena francese di follia dentro. Ancora quasi balcanica la
seconda (e non a caso nella fattura del disco hanno collaborato
anche membri della formazione di Roy Paci).
Ma lo spazio
va lasciato libero per “Angelo”,
la ballata cantautorale più compiuta e forse più intensa,
quella che contende a “Classe 1923”
il podio del miglior brano. “Angelo è un disperato
ribelle, / non sa dove andare, ma andrebbe. / In tasca non ha corone
di stelle / e se le avesse te le regalerebbe./ Angelo è un
disperato ribelle / come una nuvola nella città / un'impressione
sfocata tra mille / che ha come meta il sapere che va”.
Bellissima, tragica ed epica ad un tempo. Dopo una canzone così
forte si potrebbe anche non lasciare traccia, ma “Contro”,
invece, è molto forte ed è soprattutto una canzone
che rispetta il dettato del suo testo: è “contro”
tutto quello che non va.
Sensazione
strana, il disco non ha una sola parola che faccia pensare senza
equivoci che si tratti di un’opera che pende a sinistra, ma
il clima, le storie raccontate, la voce di Bonaveri lo fanno sentire
come se si trattasse di un album militante, di un Ivan Della
Mea tornato miracolosamente ai giorni nostri. Di una “Ringhera”
in chiave 2006 che ci faccia chiedere “che sapore ha la riconquista
della libertà”. Disco coraggioso e forte, muscolare
ed eroico. Un disco “contro” di sicuro. Contro alle
idee correnti, contro all’abuso di paure o di formule fisse,
contro i suoni uniformati. Un applauso, una rosa e un pugno chiuso,
al di là delle intenzioni, per quello che mi fa sentire,
per come mi fa vibrare.
Resto
Mancha
"Scivola via"
Parole e musica/Warner - 2006
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aggiornamento: 09-07-2006 |