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30 dicembre 2016 - "Canzone della triste rinuncia" |
"Le luci dentro al buio sono andate via e l’ allegria comprata è già sparita, il giorno dopo è sempre la malinconia che spezza la magia di un’ altra vita. La forza che ti lega è grande più di te, l’ anello al collo si stringe sempre più:?non dare più la colpa al mondo o a lei per la rinuncia triste a quello che non sei…"
Francesco Guccini
Alla fine del 1999 un gruppo di appassionati deandreiani scoprì che cercando sui motori di ricerca di allora la chiave "Enzo Jannacci" risultavano zero ricorrenze. Per Internet di fine secolo Enzo Jannacci semplicemente non esisteva e, come lui, non esistevano Goran Kuzminac, Claudio Lolli, Max Manfredi, Ricky Gianco, Gian Pieretti, Claudio Rocchi e tantissimi altri autori di canzoni o cantautori che dir si voglia, di cui non si tramandava memoria, di cui si sarebbe persa la memoria, la voce, la storia.
Nacque così la Brigata Lolli, o Bielle: un'associazione di liberi combattenti per la persistenza della memoria. Perché la memoria è la resistenza dell'uomo, perché senza memoria l'uomo sembra molto ed è niente e le canzoni sono le tradizione orale, il calendario del tempo che passa, che ci si tramanda di bocca in bocca, di ugola in ugola.
Come Alan Lomax cercò di documentare i canti popolari del sud degli Stati Uniti, così noi siamo partiti lancia in resta, acquistando di tasca nostra tutti i dischi, allora già transumati in cd, che potevano rientrare nella categoria che ci eravamo inventati: i biellisti. Ossia i cantautori bravi, ma che, per un motivo o per l'altro, non erano (ancora) riusciti ad avere un seguito consolidato.
Quindi, non solo recupero del passato, ma anche ricerca nel presente. Per cui a un Ricky Gianco corrispondeva un Maieron, a un Claudio Rocchi un Federico Sirianni, a un Ivan Della Mea un Alessio Lega e così via.
Abbiamo visto nascere e crescere stelle come Vinicio Capossela e Gian Maria Testa. Abbiamo assistito a tanti tramonti o ritiri o scomparse definitive come Lucio Dalla, Francesco Guccini, Ivano Fossati, Leonard Cohen, Domenico Modugno, Teresa De Sio, Giorgio Gaber, Enzo Jannacci, Gian Maria Testa, David Bowie. Siamo andati avanti per sedici anni con qualche migliaio di recensioni, molte segnalazioni di dischi o di canzoni che altrimenti forse non sarebbero neanche usciti dal giro ristretto del loro cortile.
Nel 2016 Bob Dylan, uno di noi, uno dei nostri, ha vinto il Nobel e il cerchio si è chiuso.
Il senso di una brigata per la memoria in una situazione come Internet, come la rete, dove tutto diventa memoria storica e incancellabile all'istante, dove niente viene cancellato e niente più viene perduto, questo senso non c'è più. Il nostro ruolo si è esaurito. Così ci ritiriamo in buon ordine.
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"Lo sappiamo che gli uomini
trasformano i loro desideri in realtà,
poi se la risognano e la credono vera.
Fino al risveglio"
Claudio Lolli
Lo dico? Eh sì, dai, lo dico: “Il grande freddo” è il più bel disco di Claudio Lolli dai tempi degli “Zingari felici”. E intendo il primo “Zingari”, quello del 1976 e non quello con il Parto del 2003. Gli zingari, certo: infatti qui, anche qui, la regia musicale è nelle mani di alcuni partner di allora, come Danilo Tomasetta e Roberto Soldati che possono essere, a buon motivo, considerati i registi dell'intera operazione (Tomasetta anche a livello organizzativo).
Dicono, nelle note introduttive del libretto che c'è una differenza sostanziale con gli Zingari: quell'opera nasceva come una lunga suite, costruita per essere suonata dal vivo; questa sin dall'inizio, è stata concepita con l'idea di fare un disco. Ma, qui più che mai, disco va inteso in un'accezione che non si pratica più: ossia un tutt'uno, un insieme, un'opera, con un inizio e una fine, che non a caso sono affidati allo stesso tema, e con il ritorno circolare, nei testi di temi e stilemi che sono cari e sono stati cari al Lolli maggiore.
Un grande artista, un grande artigiano di parole che torna a fare quello che sa fare meglio: lavorare con estrema cura su queste frasi, cesellandone le rime, limando gli aggettivi, affidando non al caso, ma all'arte, la successione studiata di verbi, pronomi e sostantivi. Detta così sembra fredda e fredda non è, nonostante il tema, perché sotto il Grande Freddo, splende il fuoco della poesia.
A tutto questo assommiamo dei musicisti che sanno fare il loro mestiere: musicisti veri, non drum-macchine o pianini di plastica come ci è toccato sentire in passato. Lolli abbozza delle linee melodiche e la regia artistica, con grande classe e sensibilità, distilla le spezie di ingredienti misurati, studiati a misura per non interferire, ma aumentare in piacere di una canzone d'autore, mandata a sfidare il senso del tempo o quello che resta. Che il tempo è una variabile tremenda e questi tempi non possono che comunicare questa grande sensazione di freddo.
Si è gelato tutto quello che tenevamo attorno e che tenevamo caro: gli affetti, gli ideali, gli amici, le speranze: si è gelato fino al punto di trasformare, non solo Lolli, ma tutti noi, in prigionieri politici. Non possiamo che alzare le braccia e arrenderci, ma proclamando con fierezza che non ci hanno spezzati: siamo agli arresti, ma come prigionieri politici, attenti a ogni spazio libero per sovvertire questa realtà diseguale, questa realtà che ci appare, ma che non ci appartiene e non potrà soddisfarci mai.
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