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LIBRI |
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Vinicio Capossela: "Non si muore tutte le mattine" |
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“La gente ride troppo, la gente non è buona. C’è ancora in mezzi perché non si governa. Piena di paura e percentuale e compenso. La paura ammazza il topo”. Cosa vuol dire? E’ una frase tratta a casa dal secondo miniraccontino di Vinicio. Qualcuno sa spiegarmi il senso di questa frase? E di altro disseminate per le interminabili 333 pagine del tomo? Non so, ma di fronte a operazioni come questa mi viene sempre più da pensare “ofelèe fa ‘l to mestée” come si dice a Milanoi (pasticcere fai il tuo lavoro). Che motivo c’è di invadere altri campi? In particolare quando non si ha niente da dire? Oramai i cantautori scrittori sono una pletora. Manca solo De Gregori (che, fortunatamente, in un’intervista recente ha smentito qualsiasi volontà di fare un passo simile): hanno scritto libri Claudio Lolli, Fabrizio De André, Francesco Guccini, Davide Van De Sfroos, Cristina Donà, Roberto Vecchioni, Giorgio Conte, Sergio Endrigo, Ligabue e tanti altri che ancora mi sfuggono, per arrivare ora a Capossela, band leader. Non tutti con la penna hanno dimostrato la stessa maestria che con la … penna della chitarra, ma alcuni hanno lasciato il segno (Ligabue, Guccini). Alcuni come Davide Van De Sfroos e Giorgio Conte hanno utilizzato il veicolo cartaceo come possibile estensione dei temi già cantati nelle loro canzoni e qui meglio esplicitati. Guccini, De André e Lolli hanno invece scelto di staccarsi nettamente e di parlare di tutt’altro. Vicinio Capossela, uomo di spettacolo, sceglie una terza strada. Il mondo delle sue canzoni va e viene dal corpo dei racconti. Ma, mentre nelle canzoni, si toccano vette di poesia o di divertimento o comunque di indagine accurata, sulla pagina scritta di prosa tutto ciò si diluisce in un girovagare indolente che non porta quasi mai da nessuna parte. Paradossalmente i risultati migliori Vinicio li ottiene quando riesce ad uscire del tutto da sé e raccontare storie altre: “La balera di Maldonado”, “La contessa Waleska””Sun motel”. In quelle storie si intravede qualcosa della possibile stoffa di scrittore. Ma perché
penalizzarci con le storie della solitudine della rockstar nella camera
d’albergo? E perché raccontare cosa trasmetteva la televisione
e cosa c’era nel frigo? Quale male abbiamo fatto? E quale interesse
si pensa possa avere per un lettore? L’esordio, insomma, è del tutto immodesto. Van De Sfroos, che pure offriva una trama da romanzo, ci ha propinato solo 91 paginette. Qui, dove la sostanza è fatta di racconti, si allineano 53(!) mini-storie di dubbio interesse. L’ufficio stampa Feltrinelli ci tiene a fare sapere che Capossela ha letto molto e che in questa opera si ispira a John Fante, Tondelli, Kerouac e Celati (come dire: il tono e la mostarda!) e qualche critico impigrito di fronte alla mole della disagevole lettura e intimidito dal disagio di parlar male di un mito giovanile ci casca pure, dicendo che si nota (Marco Belpoliti su Tuttolibri, salvo scavarsi il dubbio che “questo libro a tratti sembra essere scritto solo per sé. Per essere letto da un unico lettore, Capossela stesso”). Non “a tratti”,
ma quasi sempre, purtroppo. No, non segnala la nascita di un nuovo scrittore.
Segnala la povertà dell’editoria in Italia (all’estero
quando i cantautori scrivono sono veri scrittori: Leonard Cohen, Nick
Cave, Kinky Friedman). E di Capossela ci piace di più stare ad
attendere il prossimo disco, sperando possa uscirne un nuovo capolavoro
come “Canzoni a Manovella”, di cui ogni tanto, qui dentro,
si percepisce qualche bagliore. Ho avuto la speranza che alcune delle
storie puntassero a ricreare lo stesso clima, ma erano solo falsi segnali.
Sedici euro risparmiabili.
Ultimo
aggiornamento il 29-03-2004 |
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