Andrea Pesce - (Wurlitzer/Fender Rhodes/Moog/Mellotron/Solina/Programmazione)
Cristiano De Fabritiis, Detto Defa (Batteria/Percussioni/Programmazione
Ritmica)
Fabrizio Fratepietro(Vibrafono/Glockenspiel/Percussioni)
Pino Pecorelli (Basso Elettrico)
Roberto Angelini (Lap Steel/Weissemborn)
Lorenzo Corti (Chitarra Elettrica)
Matteo D’incà (Chitarra Elettrica)
Margherita Musto (Violino)
Angelo Maria Santisi (Violoncello)
Giovanni Di Cosimo (Tromba E Flicorno)
Ilaria Graziano (Voce)
Pino Marino (Voce/Pianoforte/Moog/Chitarra Acustica Ed Elettrica)
Parole
e musica di Pino Marino, eccetto:
- Nina (parole Pino e Nina Marino/musica Pino Marino)
- L’amore non ricorda/150 briciole/Resilienza
(parole Pino Marino/musica Pino Marino e Andrea Pesce
Missaggio e ottimizzazione audio di Paolo Panella Altipiani
Mastering audio di Massimiliano Nevi - BitBazar Studio Roma
Realizzazione grafica di Rita Giacalone - BitBazar
Ufficio Stampa e Promozione BigTime www.bigtimeweb.it
pressoff@bigtimeweb.it
Distribuzione Audioglobe www.audioglobe.it
Capolavoro
è una coproduzione di
Pineta produzioni / Angelo Mai / Altipiani
Pino
Marino: "Capolavoro" Pineta
produzioni / Angelo Mai / Altipiani -
2015 Reperibile ai concerti
Tracklist
01
Il
fatto delle cose
02
Non
basterà
03
Nina
04
150
briciole
05
Io
so
06
Dimenticare
il pane
07
Girabondo
08
Resilienza
09
Distanza
di insicurezza
10
L'amore
non ricorda
11
L'uomo,
l'angelo e il quadrante del mondo
Pino
Marino. La prima vola che lo sentii, tanto tempo fa, e in una rassegna
jazz, pensai che quella genialità l’avrebbe reso famoso.
Era il luglio del 1999, e quella la 6^ edizione di Along Came Jazz.
La sera prima della propria esibizione Peppe Servillo volle fare
una ricognizione nel luogo scelto, insieme al direttore artistico
Enzo Pavoni. Rimase meravigliato, si trattava infatti del teatro
greco nella Villa dell’imperatore Adriano, per la prima volta
aperto a performance artistiche.
In quell’occasione Peppe passò a Enzo il cd di un gruppo
che allora a volte gli faceva da spalla, con la cura di ascoltare
e, se gradito, consentirgli di aprire il concerto dei suoi Avion
Travel.
Al terzo brano, Terranera, la scelta era fatta e Pinomarino, tutto
attaccato, il giorno dopo saliva sul palco.
Dopo 15 anni, "Capolavoro" è il
quarto album dell’’atipico cantautore romano. Pochi?
Assolutamente no, se in mezzo c’è l’Angelo Mai,
l’Orchestra di Piazza Vittorio, l’Orchestra Dal Pane,
una tournèe teatrale con Daniele Silvestri, collaborazioni,
scritture, e più in generale un modo collettivo di concepire
l’arte che necessita una maggiore ombra individuale. Non è
poco.
"Capolavoro" si chiama l’album, ed è un giocare
ancora con i significati, perché proprio del lavoro si tratta,
quello artigiano e artistico, quello che richiede studio, e poi
impegno, e sudore, fino a produrre un proprio personale capolavoro.
Come afferma lui stesso, se la nostra forza è l’arte,
allora l’artista è il vero politico di questo paese.
Per riportare a capo il lavoro e non spostare il lavoro a capo,
svilito, marginalizzato.
Pino, pur
nelle inevitabili trasformazioni che il tempo impone, mantiene
a distanza una freschezza espressiva di gentile maestà,
di genuina indignazione, di profonda introspezione, di surreali
sguardi a un mondo che, già nelle piccole cose, rivela
l’integrità quasi eroica dell’individuo che
combatte ancora, opposto al baratro dello sfacelo morale irrecuperabile
di chi da tempo si è arreso. Le parole sono il cardine
di ogni suo lavoro, essenziali, misurate, magicamente poetiche
e capaci di aprire squarci improvvisi di verità, surreali
e quotidiane, eteree e materiali.
Il tempo naturalmente ha la sua parte, nel brano d’apertura
("Il fatto delle cose") “Quante
le cose che passano / e quante credi siano andate / quelle che
conosci / e quelle sconosciute. / Quante le cose che contano /
e credi importanti, da non dimenticare, / per quella che trattieni
/ quante già perdute..” perché certo,
ci si impegna, si corre, e si da valore a cose che spesso valore
non hanno, “siamo arrivati qui / e nonostante tutte
le parole del mondo / io non so dirti cosa abbiamo perso, e quando”
(Nina). Si finisce per cambiare, si sceglie il male minore che,
come diceva il vecchio saggio, è comunque uno scegliere
il male (Distanza di sicurezza) “che tristezza ipocrita
/ abbassare il limite della tua libertà / quello che hai
raggiunto fino a ieri / non è dovuto alla velocità…”
Con lo sguardo al futuro ci si perde il presente ("Non
basterà") “Non basterà
guardare lontano / se oggi non vedi, non basterà domani
/ come non è servito ieri…”, e si disperde
il senso nell’oggetto (Girabondo) “Non è al
potere chiuso a chiave e morto in una stanza / tu devi la tua
vita alla potenza, credi a lei / non a chi ha sciolto invano /
il dubbio del mistero / mutandolo nel costo del denaro…”
Fuori da una gentilezza d’animo che intenerisce non manca
la critica sociale e politica, sulla confusa quantità di
messaggi che non aiuta ("150 briciole"):
“le facce sopra ai muri “prendi me che non stai
male” / l’algebrica condanna dell’incasso stagionale
/ la corsa dei mediocri incorona un caporale / la scelta si avvilisce
nel suo male minore” tanto da dimenticare la lucidità
di chi, come la Cassandra Pasolini, ha previsto l’inverno
del nostro scontento (Io so) “il dito del giudizio non giudica
più niente / che il paese è ormai sconfitto / fra
l’incolumità del vizio e l’immunità
del dolo / così io resto solo”.
Bisogna aver cura di se, senza tema, mantenere una piccola sfera
di umanità, in attesa che qualcosa cambi, ("Resilienza"):
”non ho tirato indietro la mia scelta / non ho permesso
al tiro che la corda fosse sciolta / non ho raccolto briciole
rubate da una crisi / non ho permesso ai tuoi trenta denari di
esser spesi / non ho accettato il patto che ci vuole tutti offesi…”.
("L’uomo, l’angelo e il quadrante
del mondo"): “L’uomo non perda
la paura mai, ma non ceda all’orrore / e non creda che basti
all’amore il solo pensiero di se / L’uomo non perda
un minuto mai, sul quadrante del mondo, / assordante memoria di
stelle e distratto passante com’è”.
Pino ricama versi tanto lievi quanto capaci di arrivare dentro,
circondato da musicisti che lo affiancano lasciando alla sua voce,
e al suo piano dalle atmosfere classicheggianti, il compito di
segnare il percorso, concedendo qua e là perle sonore,
di slide, violoncello, violino, dove necessario, con lo stesso
identico garbo, con una nota elettronica che non disturba. Perché
lui, il suo lavoro, con la destrezza di un orefice, lo sa fare
bene, chi lo ha visto all’opera dal vivo tra chitarra e
piano, tra narrazioni e questo canto gentile, ne resta singolarmente
affascinato.
La bella scrittura di Pino è degna di un libro, pochi hanno
questo dono della parola giusta, questa capacità d'immagine
e d'immaginazione, la sottigliezza arguta e questo estro nel restare
in equilibrio come un ciclista in surplace, la sensibilità
nel saper scegliere proprio quelle briciole giuste che hanno dentro
la totalità, senza sprechi e ridondante, come un nuotatore
che esprime la massima velocità col minimo sforzo, lontano
dalla pedante battologia della massa rumorosa.
In fondo è vero, ("Dimenticare il pane")
è “molto meglio affogare nel mar nero e fermo
dei dispersi / che aver paura di tuffarsi”.