Costretti
a guardare, obbligati a vedere
di Erica Arosio
Su “12 anni schiavo” molti critici si
sono accaniti, arrivando a parlare di “pornografia dello
sguardo”. Gli stessi critici che non avevano avuto nulla
da ridire su un altro film di McQueen, ugualmente violento,
Hunger e che sorvolano su decine di altri lavori che certo
non vanno per il sottile con sangue e squartamenti, sia al
cinema che in televisione. Come mai questa alzata di scudi?
Perché McQueen fa qualcosa di diverso dagli altri e
quella diversità si chiama stile.
E’ a questo che non siamo più abituati e non
ne faccio una questione estetica e neppure etica, ma di consumo
psicologico. Gli schermi, grandi e piccoli, compresi i videogiochi,
vomitano su spettatori di tutte le età milioni di scene
insanguinate, reali e di finzione, ma ormai tutte così
esagerate da essere percepite come un gioco, qualcosa che
ha reso il pubblico incapace di distinguere la verità
dalla messa in scena. Anche quando il sangue non è
vernice, non ci crediamo più, perché a vincere
è l’estetica patinata della sovrabbondanza e
il ritmo adrenalinico del montaggio accelerato. Con un risultato
“subliminale”. Le immagini non hanno il tempo
di restare impresse sulla retina e vengono assorbite in modo
passivo dal cervello, costruendo una base psichica che va
man mano arricchendosi nel suo potere mitridatico che fa diventare
tutti i soggetti (o gli oggetti dei messaggi, mettetela come
volete) totalmente insensibili.
Mc Queen mette in gioco invece un’altra modalità
e un altro sguardo: ogni suo fotogramma, ogni scena a camera
fissa resta sullo schermo molto più a lungo di quanto
accada nei film a cui siamo abituati, con uno stile che non
è quello di derivazione colta da opera autoriale, quello
per intenderci degli sfiancanti piani sequenza e trova piuttosto
le sue radici nella pittura e nella fotografia. Se si analizzano
senza pregiudizi i momenti violenti del film, ci si stupirà
di constatare che sono inferiori a quelli contati dalla nostra
percezione “emotiva”. E’ il modo in cui
hanno colpito così violentemente i nostri occhi, quel
loro costringerci a guardarli in modo non superficiale e affrettato,
ma a inghiottirli e metabolizzarli, a farci ritenere che siano
innumerevoli, fin quasi a coprire tutto il film, facendoci
dimenticare persino le lunghe notti di quiete degli schiavi
in cui il confronto scontro col bianco oppressore sfuma e
si placa. Guardare è sgradevole, il modo in cui ti
costringe a farlo McQueen diventa un atto d’accusa all’umanità
tuta, alla sopraffazione, all’ignorare il diritto e
la giustizia, all’avidità (la schiavitù
si basava su precise ragioni economiche, le crudeltà
erano solo un corollario possibile, ma di certo non necessario).
Guardiamo e ci vergogniamo e non ci è permesso chiudere
gli occhi: dobbiamo guardare, deglutire e … pensare.
Se un montatore riprendesse in mano il film di McQueen e intervenisse
su tutte le scene, lasciando intatto il racconto ma sfrondando
quella dilatazione dei tempi da “fruizione pittorica”,
la storia rimarrebbe identica. La nostra percezione sarebbe
però completamente diversa. 12 anni schiavo: uno sguardo
etico creatore di uno stile parimenti etico, forse estremo,
ma con una sua intrinseca necessità.
La carne, il sangue
Mc Queen è un regista materico, carnale. Il suo cinema
parla di corpi e questi mette in scena. Che sia il militante
dell’Ira di Hunger, che rivendica il suo libero arbitrio
nella distruzione/scarnificazione del corpo, l’unica
cosa che gli rimane o il Michael Fassbender (sempre lui, l’attore
feticcio) di Shame, schiavo invece del corpo e della furia
sessuale o adesso gli schiavi, privati della proprietà
del corpo, è sempre intorno alla fisicità materiale
che ruota l’interrogarsi di McQueen. I corpi come unica
realtà attraverso la quale passa tutto il resto, che
sia lotta politica, piacere o semplice vita, i corpi esibiti,
amati, violati. I corpi, l’immanenza dell’esistere
e la forza di gravità del pensiero e dell’agire.
Per un cinema manifesto, per un cinema filosofia.
Le
frasi: "Platt è mio e io ne faccio quello
che voglio” (lo schiavista Paul Dano)
“Qualunque sia la tua situazione, sei un negro eccezionale,
Platt” (Benedict Cumberbatch – padrone Ford)
“Il negro che non ubbidisce al Signore che è
il suo padrone, quel negro verrà percosso innumerevoli
volte: è nelle scritture” (Michael Fassbender
– padrone Epps)
Perché
vederlo: perché McQueen è un regista
che sa mordere il cinema. Qualche volta anche lo spettatore
|